Doralice

Si tramanda, gentili signore, che Tebaldo, principe di Salerno, ebbe per moglie una gentildonna di alto lignaggio, prudente e accorta, con la quale generò una figlia così bella e saggia, da superare tutte le altre salernitane.

Purtroppo per Tebaldo, sarebbe stato meglio se non l’avesse avuta, considerato quello che gli successe poi.

La moglie, infatti, giovane di anni ma vecchia di senno, venendo a morte, pregò il marito, che adorava, di non risposarsi con nessun’altra donna che non fosse in grado di calzare a pennello l’anello che essa portava al dito.

Il principe, che non amava la moglie meno di quanto lei amasse lui, giurò sopra su quel che aveva di più caro al mondo, di mantenere la promessa.

Morta dunque la bella donna ed onorevolmente sepolta, poco tempo dopo, venne in animo a Tebaldo di risposarsi, ma ricordandosi della promessa fatta alla moglie in punto di morte, non volle rischiare di commettere un errore nella scelta.

La notizia che il principe di Salerno era intenzionato a risposarsi, insieme alla sua nobile fama pervenne in breve tempo alle orecchie di molte fanciulle in età da marito, le quali erano degne del suo stesso rango.

Ma egli, desideroso di adempire la volontà della moglie morta, fece provare il suo anello della sulle dita di tutte le pretendenti, e non trovandone nessuna a cui l’anello andasse bene, poiché a una andava troppo largo, all’altra troppo stretto, e insomma, alla fine dovette respingerle tutte quante.

Ora avvenne che la figliuola di Tebaldo, Doralice, pranzando un giorno col padre e avendo visto sulla tavola l’anello della madre, poiché le era molto caro, se lo mise al dito e disse al padre: “Vedete, padre mio, come l’anello della mia mamma mi calza a pennello?”

Alché, egli non poté fare a meno di notarlo. Ma non passò molto tempo che uno strano e diabolico pensiero s’incapricciò del cuore di Tebaldo: di avere Doralice, sua figliuola, in moglie; e per un bel po’ fu indeciso se farlo o meno.

Alla fine si lasciò vincere dal morboso proposito, e, affascinato dalla bellezza della figlia, un giorno la mandò a chiamare, e le disse: “Doralice, figlia mia, devi sapere che tua madre, prima di morire, mi pregò caldamente di non sposare nessun’altra donna, se non colei che sarebbe stata in grado di calzare perfettamente il suo santo anello; e io le giurai su tutto ciò che ho di più caro al mondo, che avrei mantenuto la parola. E purtroppo, ho provato l’anello a molte donne, a ma nessuna andava bene come a te, e quindi riflettendo mi sono convinto che l’unica moglie che potrei avere dopo tua madre, sei tu. Sposando te, manterrò la promessa che ho fatto alla tua povera mamma.”

La figliuola, che oltre ad essere bella era anche onesta, appreso il perverso desiderio del padre, ne rimase alquanto sconvolta; e considerato il terribile proposito, per non deluderlo, ma nemmeno acconsentendo, non gli rispose nulla sul momento, ma, fingendosi serena e allegra, si congedò da lui.

Fidandosi ciecamente solo della sua balia, si rivolse a lei, come ancora di salvezza, per avere un consiglio per come uscire da quella incresciosa situazione.

La donna, messa al corrente del morboso desiderio paterno, e sapendo che la giovanetta era decisa più che mai a non accettare, per nessuna ragione al mondo, il padre per marito, la confortò e le promise di aiutarla, affinché la sua verginità non fosse disonorata.

La balia, mentre pensava così al rimedio da consigliare alla povera ragazza, passava da un pensiero all’altro, senza trovar tuttavia il modo per rassicurarla; l’unica soluzione che vedeva, era la fuga, ma temeva alquanto l’ira e l’astuzia di Tebaldo, e aveva paura che questi l’avrebbe uccisa.

Alla fine, pensa che ti pensa, la fedele balia ebbe questa idea che ora vi racconterò:

Nella camera da letto della defunta regina c’era un bellissimo armadio, finemente lavorato, dove Doralice teneva gioie e abiti; non lo sapeva nessuno, tranne lei.

Costei trasse di nascosto da dentro le vesti e le gioie, e le mise da un’altra parte; nell’armadio pose un certo liquore di tanta virtù, che chiunque ne prendeva un cucchiaio, anche piccolo, poteva sopravvivere molto tempo senza mangiare; e chiamata la figliuola, la chiuse dentro, per prendere tempo nella speranza che il buon Dio riservasse giorni migliori, e che soprattutto il padre si ravvedesse presto dal suo insano proposito.

La figliuola, ubbidendo alla cara balia, fece come lei le disse.

Il padre, però, a cui la sua malsana voglia non passava, chiese più volte della figlia, e non trovandola, né sapendo dove fosse, s’incollerì tanto, che la minacciò di condannarla a morte.

Non erano ancora passati molti giorni, che Tebaldo una mattina al sorgere del sole entrò nella camera dell’armadio, e trovandoselo davanti agli occhi, non sopportandone la vista, ordinò di farlo portare via e di venderlo, per levarselo di torno. I servi, ubbidirono prontamente all’ordine del padrone, e lo portarono via.

Avvenne poi che giunse in piazza un tale, un ricco e leale mercante genovese; il quale, avendo adocchiato il bell’armadio, così elegante e riccamente lavorato, se ne innamorò perdutamente e lo volle a tutti i costi.

Il mercante si rivolse quindi al servo, e avendo contrattato il giusto prezzo, lo comprò; e messolo in spalla ad un bastaio, lo condusse alla sua nave.

La balia, che aveva assistito a tutta la scena, ne fu alquanto rallegrata, nonostante il dispiacere di non rivedere più la sua cara protetta.

Ma il pensiero che finalmente fosse al sicuro la confortò, pensando che il fatto di non vederla era un sacrificio che valesse la pena per salvarle la vita.

Il mercante genovese, salpato da Salerno con la nave carica di merci di valore, giunse all’isola di Britannia, oggi chiamata Inghilterra; e fatto scalo in un luogo dove c’era un’ampia pianura, vide Genese, da poco divenuto re, il quale, correndo per la spiaggia dell’isola, stava inseguendo una cerva che stava per buttarsi a mare per sfuggirgli.

Il re, già stanco ed affannato per la corsa, si fermò a riposare; e alla vista della nave, domandò un po’ d’acqua.

Il padrone, fingendo di non conoscere il re, amorevolmente l’accettò, riservandogli la giusta accoglienza; e con ingegno ed arte tanto operò, che lo fece salire sulla nave.

Il re, al quale non era sfuggita la vista del bell’armadio, cominciò a desiderare di averlo, che un’ora gli sembrò come mille.

Allora domandò al padrone della nave quanto valesse, e se fosse disposto a cederglielo; il mercante rispose che valeva assai, e il re, invaghitosi alquanto di quella merce preziosa, non mollò la trattativa con il mercante, e alla fine riuscì a ottenerlo: il mercante se ne ripartì soddisfatto con il malloppo, e il re contento si portò al palazzo il prezioso mobile.

Genese, che era un bel giovane ancora scapolo, ogni mattina andava a divertirsi a caccia.

Doralice, che stava ancora nascosta nell’armadio che era stato messo nella camera del sovrano, udiva tutto ciò che accadeva nella camera; e pensando ai pericoli passati, cominciò a sperare di essere finalmente al sicuro.

E così, ella prese l’abitudine di uscire dall’armadio mentre Genese era fuori a caccia e con grandissima grazia badava a tenere preziosamente in ordine la camera.

Poi la bella giovane pose sopra il letto, rose, viole ed altri fiori profumati, mescolati insieme con altri piacevoli profumi e aromi naturali.

La giovane più e più volte, senza che mai nessuno s’accorgesse della sua presenza, ogni giorno manteneva questa abitudine.

Questo naturalmente non sfuggì a Genese, il quale ne era sempre piacevolmente sorpreso; e ogni volta che rientrava dalla caccia, mettendo piede in camera, gli pareva di trovarsi immerso nelle calde e odorose atmosfere dell’Oriente.

Ma un giorno la madre di Genese e le sue damigelle, scoprirono che vi era una gentile e nobile fanciulla, che con tanta grazia gli adornava la camera.

Di lei però non sapevano nulla, ma sapevano che quando entravano in camera, la trovavano tutta adorna di profumi e fiori.

Quando Genese fu messo al corrente di tutto ciò, volle sapere una volta per tutte chi fosse quella fanciulla, così un giorno finse di andare in un castello molto lontano dalla città; così si nascose silenziosamente in camera, aspettando di vedere cosa succedeva.

E all’improvviso vide fuoriuscire dall’armadio quell’incantevole creatura, che si era messa a tenergli in ordine la camera, a drizzare i tappeti e ad accomodare il letto, e tutte le altre cose, come era ormai solita fare tanto diligentemente.

Al termine del suo puntuale compito, la fanciulla fece per rientrare nel suo nascondiglio, ma il re, che segretamente aveva visto tutto, le si avvicinò ardentemente, e prendendola per mano e vedendola così bella e fresca come una rosa, le domandò chi lei fosse.

La giovane tutta tremante disse che era l’unica figliuola di un principe, a causa del quale da tempo era rimasta nascosta nell’armadio, senza confessarne il motivo.

Il re, ascoltato tutto, con il consenso della madre la prese in moglie, e con essa generò due figli.

Tebaldo, continuando nel suo malvagio e perfido volere, non avendo più trovata la figliuola da giorni e giorni, s’immaginò che si fosse nascosta nell’armadio che era stato venduto, per andarsene fuori errando per il mondo.

Allora, pieno di rabbia, decise di cercarla.

Si mascherò da mercante e prese molte gioie, oro, e pietre preziose, e partì da Salerno, diretto in nuovi paesi dove non fosse conosciuto; fortunatamente per lui, s’imbatté in colui che aveva comprato l’armadio, e chiese a chi l’avesse poi rivenduto.

Il mercante rispose di averlo venduto al re d’Inghilterra, e di aver guadagnato parecchi soldi.

Allora Tebaldo si rallegrò, e si mise in viaggio verso l’Inghilterra e quando arrivò, entrò nella città di Genese, dove per ordine reale dovette porre davanti alle mura del palazzo le gioie e le sue merci, tra i quali c’erano anche fusi e rocche; allora cominciò a gridare: “Fusi e rocche, donne!”

Udendolo, una delle damigelle si affacciò alla finestra e alla vista del mercante con tutte quelle allettanti mercanzie, corse dalla regina, e le riferì che fuori in strada c’era un mercante che vendeva le rocche e i fusi più belli che avesse mai visto.

La regina ordinò di farlo salire; ma ella non riconobbe così vestito il padre, al quale non pensava più da tanto tempo, mentre l’astuto padre aveva ben riconosciuto la figlia.

La regina, dunque, alla vista dei fusi e delle rocche di meravigliosa bellezza, gli domandò quanto costassero, ed egli rispose: “Molto, ma se Vostra Altezza acconsentisse a farmi dormire una notte nella camera dei vostri figli, in cambio Vi regalerei volentieri tutte queste merci.”

La signora, che era pura e semplice d’animo, non sospettando nulla a riguardo del forestiero, acconsentì alla richiesta, ma prima che fosse condotto nella stanza per dormire, le donzelle, insieme alla regina gli fecero bere una coppa di vino mischiato con un sonnifero.

Venuta la notte, il mercante finse di essere stanco, così una delle damigelle lo accompagnò nella camera dei figliuoli del re, dove era preparato un bellissimo letto; e prima di lasciarlo, la donzella gli chiese: “Signore, avete sete?”

Ed egli rispose: “Sí, figliuola mia.” E preso un bicchiere d’argento, gli porse il vino con il sonnifero.

Ma il mercante, malizioso ed astuto, prese il bicchiere, e fingendo di bere, lo sparse invece via, e poi si coricò.

Nella camera dei fanciulli c’era un piccolo uscio, dal quale si poteva passare nella stanza della regina.

A metà notte, il mercante, vedendo che tutto era tranquillo, entrò silenziosamente nella camera della regina, e, avvicinatosi al letto, le tolse un coltellino che le aveva adocchiato addosso, e con quello, tornò nella stanza dei fanciulli e li uccise entrambi e dopo aver commesso il sanguinoso delitto, aperta una finestra, si calò giù con una fune: e il mattino presto si recò da un barbiere, e si fece radere la lunga barba, per non farsi riconoscere: e vestitosi con nuovi panni, se ne tornò in città.

Le balie, che si svegliarono presto per allattare i piccoli, andando presso la culla, con orrore constatarono che erano stati ammazzati.

Disperate, cominciarono a gridar e a piangere forte, squarciandosi i capelli e stracciandosi i panni. La triste notizia del delitto giunse alle orecchie dei sovrani, i quali, scalzi ed in camicia, corsero al capezzale dei loro figlioletti morti, e allora piansero disperati.

Ben presto la notizia del delitto si sparse per tutta la città, e così giunse un famoso astrologo, il quale secondo i vari corsi delle stelle sapeva le cose passate e prediceva le future.

Ed essendo pervenuta alle orecchie del re la gran fama di questi, lo fece chiamare; e venuto al palazzo, si presentò a Sua Maestà.

E domandato dal re se egli saprebbe dirli chi li fanciulli uccisi avesse, li rispose saperlo.

E accostatosi all’orecchio del re, segretamente gli disse: “Maestá,fa che tutti gli uomini e tutte le donne che portano un coltello e sono nella tua corte, si presentino al tuo cospetto: e a chi troverai il coltello nella guaina ancora sporca di sangue, quello sarà l’omicida dei tuoi figlioli.”

Quindi per comandamento del re tutti i cortigiani comparsero dinanzi a lui: ed egli con le proprie mani uno ad uno a cercare i coltelli incriminati, ma non potendone trovare nessuno che fosse macchiato di sangue, ritornò dall’astrologo, e gli raccontò tutto, spiegando che solo la regina madre e la moglie non erano state controllate.

E l’astrologo rispose: “Sacra Maestà, cercate bene, non abbiate scrupoli per nessuno, e vedrete che il malfattore salterà fuori.”

Il re, allora indagò presso la madre, ma non trovò nulla.

Chiamò allora la moglie, e presa la guaina che portava con sé, trovò il coltellino tutto imbrattato di sangue.

Il re, allora, pieno d’ira e collera, si rivolse come una furia sulla moglie e disse: “Ah! Malvagia e spietata femmina, nemica della tua stessa carne! Traditrice dei tuoi stessi figliuoli! Come hai potuto imbrattarti le mani con il sangue delle nostre creature? Io giuro a Dio che patirai la penitenza di tanta scelleratezza e crudeltà!”

E quantunque il re fosse imbestialito e desideroso di vendicare la vituperosa morte dei suoi figli, non ci furono santi: a nulla servirono gli strazianti pianti disperati della povera regina; allora gli entrò un nuovo pensiero nell’animo, e comandò che la regina fosse spogliata e sepolta viva affinché i vermi la divorassero, e per quanto ella supplicasse la grazia, proclamandosi innocente, egli non volle sentire le sue ragioni.

La regina, che già in vita sua aveva abbastanza patito, soffrì immensamente in quei tristi momenti.

L’astrologo, secondo cui la regina era colpevole, pensava che dovesse esse condannata a crudelissimi tormenti, e quindi, molto si rallegrò, e, presa licenza dal re, lasciò contento e soddisfatto l’Inghilterra e giunto segretamente al suo palazzo, raccontò alla balia della figliuola tutto ciò che le era successo, e come il re l’aveva condannata così crudelmente.

La balia, che si vedeva costretta a celare i suoi veri sentimenti, si mostrò tranquilla esteriormente, ma dentro era piena di dolore, e mossa a pietà della disgraziata Doralice, per tutto il tenero amore che le portava, una mattina presto partì da Salerno, cavalcando tutta sola notte e giorno, finché finalmente arrivò al regno d’Inghilterra.

Quindi, salì le scale del palazzo reale, e vide che il re era in udienza in una grande sala; allora s’inginocchiò ai suoi piedi, supplicandolo di concederle udienza poiché aveva cose molto importanti da dire.

Il re l’abbracciò e la fece alzare in piedi, la prese per mano, licenziò la brigata e rimase nella stanza da solo con lei.

La balia, che ora era al corrente di tutta la verità, disse: “Sappiate, sacra Corona, che Doralice, vostra moglie è la mia figliuola protetta: non che io l’abbia portata nel mio misero ventre, ma l’allattai e la nutrii fin dalla nascita a questo mio seno: credetemi, se vi dico che è assolutamente innocente del peccato per il quale l’avete brutalmente condannata a morte. E quando vi spiegherò come sono andate veramente le cose e chi fu il vero omicida, e il motivo per cui egli commise il crimine di uccidere i vostri figliuoli, allora sono certa che Voi sarete finalmente mosso a pietà, e vi getterete ai piedi della vostra povera moglie, liberandola dai tormenti. E vi giuro che se mi rivelerò bugiarda, vi invito a infliggermi la stessa pena che sta subendo la povera regina.”

E cominciando dall’inizio, raccontò per filo e per segno tutto quello che era realmente avvenuto.

Il re, quando fu messo al corrente della verità, credette alle parole della balia, e subito fece liberare la povera regina, che giaceva ormai più morta che viva, e la fece curare e riposare, cosicché in breve tempo Doralice tornò in salute.

Allora il re diffuse la notizia per tutto il regno, e subito radunò un potentissimo esercito e lo mandò a Salerno, dove in breve tempo il regno di Tebaldo fu conquistato, il quale fu fatto prigioniero, legato mani e piedi e condotto in Inghilterra.

Ma Genese, che era giusto, voleva assicurarsi della sua colpevolezza, così Tebaldo fu processato, e condannato a morte; fu portato al patibolo, e alla fine confessò i suoi misfatti.

Così il giorno seguente fu portato con quattro cavalli sopra un carro per tutta la città e fu legato con delle tenaglie roventi, come Gano di Maganza, così fu squartato, e le sue carni furono gettate in pasto ai cani.

Ecco come il disgraziato e scellerato Tebaldo miseramente finì, ed il re e la regina Doralice vissero per molti anni felicemente, lasciando altri figliuoli dopo la loro morte.

- Fiaberella
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