Il re porco

C’era una volta,

una Regina che era incinta e stava lì al terrazzino a prendere il fresco.

Passò una povera donna a chieder l’elemosina, e la Regina disse: “Andate via, vecchia porca!”

Ma che maniere sono quelle?

Vedendo che era in stato interessante, la povera vecchia esclamò: “Regina, voi partorirete un porco!”

E infatti, la Regina partorì proprio un porco!

Figuratevi quanti pettegolezzi che ci furono nel palazzo.

La povera Regina non faceva che piangere ricordandosi della parola detta: “Eh!”, diceva, “Iddio mi ha castigata!”.

Il porco crebbe e lo misero in giardino, perché in casa non poteva stare. Ma sotto questa pelle porcina c’era un giovanotto, un uomo, e aveva sentimenti come noi.

Lì vicino c’erano un marito e una moglie che avevano tre figlie.

Il porco vide queste belle ragazze e se ne innamorò: ne volle assolutamente una, e non si diede pace: urlava, grufolava, non voleva più mangiare.

Finalmente compresero che voleva una di quelle ragazze, allora, andarono dai genitori a riferire che il porco ne voleva una per sé, e che se avessero accettato, li avrebbero fatti diventare ricchi.

La minore rifiutò: “Io non lo voglio”, e la seconda fece lo stesso.

La maggiore disse: “Lo prenderò io per far felici il babbo e la mamma; io non guardo, io mi accontento.”

Così si sposarono, ma fecero un matrimonio in bianco, poiché la sera doveva andare a letto con questo porco.

Ma quando il porco venne in camera, chiuse la porta a chiave, ed ella vide che era un bellissimo giovanotto.

Allora urlò che non voleva lui, ma il porco: “Ah, no, no! Io ho sposato il porco; voi non vi conosco.”

“Invece sì,” disse lui, “devi sapere che quel porco sono io, ed è per colpa della superbia di mia madre che mi trovo in questo stato. Promettimi di non dir niente a mia madre, altrimenti ti costerà caro!”

Lei gli promise, ma dopo otto o dieci giorni più tardi chiese di parlare alla Regina, e le disse: “Ho un segreto da confidarvi: ma mi raccomando, che nessuno ci senta!”

“Venite pure nelle mie stanze.” disse la Regina, ordinado alla servitù di non far entrare nessuno; “non ci sono per nessuno” disse.

E alla nuora: “Dite pure”, e nel mentre, sprangò tutti gli scuri per paura che qualcuno potesse sentire.

Allora la nuora raccontò: “Sappiate che la sera vostro figlio si trasforma in un gran bel giovinotto!”

“Ah!” esclamò la madre.

E la nuora: “Ma per amor di Dio, vi prego di non palesarlo. Altrimenti, me la farà pagare.”

“Ecco il mio castigo!” esclamò la Regina, “E’ tutta colpa della mia superbia.”

Poi, ognuna tornò nelle proprie stanze, ma per la nuora fu la fine, perchè lui, essendo fatato, sentì tutto.

La sera andò in camera per andare dalla sposa e le disse: “Briccona, non hai mantenuto la promessa!”

“Ah! ma io..”

“Silenzio, insolente!” E così dicendo, prese un ago calamitato e l’ammazzò.

Morì, senza lasciare evidenza di essere stata uccisa.

La mattina seguente, ci fu un silenzio di tomba dalla camera da letto reale, e a un certo punto, i servitori decisero di andare a vedere come mai la Regina non chiamava, e, girando la gruccia, s’accorsero che era morta, così cominciarono a gridare.

“Si vede che il porco l’ha soffocata!” credevano ingenuamente, come se una bestia potesse soffocare qualcuno.

Alla Regina Madre vennero un sacco di rimorsi: “E’ tutta colpa mia, sono io la causa di questo gran male, perchè se non fossi stata sgarbata con quella vecchia, non mi sarebbe nato questo figlio porco e ora tutto questo non sarebbe successo!”

Ma ben presto il porco ricominciò a grugnire, a raspare il muro peggio di prima, a farsi capire che ne voleva un’altra in moglie.

Allora a seconda accettò di sposarlo, per far guadagnare un bel pò di soldi ai suoi genitori: “Almeno voi starete bene.”

E così la sera, quando il porco entrò in camera, ella vide che era un bellissimo giovanotto, come l’altra volta.

Il principe, però, le impose il silenzio, e le vietò di non riferire nulla alla Regina Madre.

Così, se la sorella defunta resistette dieci giorni, la nuova Regina tacque per una ventina di giorni.

Ma poi un bel giorno chiese un colloquio con la suocera, come aveva fatto la sorella; e quando si trovarono da sole nella stanza chiusa, le confidò che suo figlio la notte diventava un bel giovane.

“Purtroppo ne sono al corrente.”

“Però vi prego di non dir niente a nessuno.”

“State pure tranquilla che io non parlo.”

E ognuna ritornò nelle proprie camere.

A sera, quando il porco entrò in camera, fece lo stesso come per la prima moglie: “Ah briccona!” disse, “Sono queste le promesse, eh?”

Poi prese lo stesso ago e uccise anche lei.

La mattina, la servitù, saran state tra le undici e mezzogiorno, aprirono la camera e trovarono morta anche lei.

Andarono dalla Regina Madre e dissero: “Venite a vedere, Maestà, anche questa è morta!”

E lei provò di nuovo un gran rimorso, come potete immaginare.

Infine, il porco ricominciò a grufolare che voleva l’ultima sorella, ma giustamente i suoi non gliela volevano dare; alla fine l’accordo fu raggiunto e la fanciulla si sposò col porco; e a palazzo fecero venire anche i genitori di lei.

La sera il Re divenne un bel giovinotto come le altre volte: “Devi sapere che io sono un uomo, imprigionato in un maleficio per colpa di mia madre; e così il giorno sono un porco, mentre la sera torno uomo; devo ringraziare la superbia di mia madre. Ti prego di non dirle nulla.”

“Te lo prometto.”

Invece, sarà stata anche un mese senza parlarne, ma poi anch’ella volle assolutamente raccontar tutto alla suocera, e così fece: raccontò che il figlio si trasformava in un bel giovane; e come le altre, tale quale: “Però vi prego di non parlarne neppure all’aria.”

“Eh, state pure tranquilla, che non lo dirò a nessuno.”

E la sera, riecco il porco entrare in camera e diventare un bellissimo giovane: “Briccona, son queste le promesse, eh? Te, non ti ammazzo. Ma, prima di ritrovarmi, dovrai consumare sette mazze di ferro, sette vestiti di ferro, sette paia di scarpe di ferro e riempire sette fiaschettini di lacrime.”

E così dicendo, sparì nel nulla, e la ragazza si ritrovò senza marito, né senza porco.

La mattina, appena giorno, la sposa s’alzò e andò dalla Regina Madre, a raccontarle il caso.

Potete immaginare il rimorso di quella poveretta: “Guardate quanti guai ho combinato!”

Ma la giovane giovane Regina fece preparare il suo guardaroba, e quando il bagaglio fu pronto, disse addio alla suocera, la baciò, si vestì e si mise in viaggio con un carretto e con tutta la sua roba dentro.

Cammina, cammina, s’imbatté in una vecchina. “Dove vai, poverina?”

“Oh!” sospirò la giovane Regina, e le raccontò tutto. E quella disse: “Ma tu lo sai che il tuo sposo non è più tuo? Ha preso moglie, lassù dove è andato. Prendi questa nocciola. Quando sarai davanti al palazzo del Re, dopo che avrai ben camminato, non so in che posto, molto lontano, schiacciala: verranno fuori delle cosette meravigliose, tanto, ma tanto belle. La Regina se ne invaghirà, e ti domanderà quanto vuoi per queste belle cose. Tu dovrai dire: «Voglio dormire una notte col vostro sposo.» “

La vecchia diede la nocciola alla Regina e se ne andò via.

La Regina la ringraziò tanto, e riprese il suo cammino.

Poco dopo incontrò un’altra vecchina, tale quale alla precedente: “Poverina, dove vai?”

La Regina raccontò tutto anche a questa, la quale disse: “Ecco, prendi questa mandorla, e fai lo stesso, schiacciala. Verranno fuori grandi meraviglie, ma tanto belle! La Regina se ne invaghirà, e ti domanderà quanto vuoi per concederle queste belle cose. Tu non chiedere quattrini: chiedi di dormire una notte col suo sposo.”

Quando poi fu quasi arrivata al palazzo reale, le si presentò un vecchino a dirle: “Sei quasi arrivata, vedi, là c’è il palazzo del re. Prendi questa noce, chiacciala, e vedrai quante belle cose verranno fuori. La Regin ase ne invaghirà e ti domanderà quanto vuoi per vendergliele. Tu dovrai solo dire: «Una notte col vostro sposo.» “

A quel punto, la fanciulla aveva consumato le sette paia di scarpe di ferro, le sette mazze di ferro, i sette vestiti di ferro e aveva riempito tutte le fiaschettine di lacrime.

Entrò in città e vide un palazzo.

Si mise a sedere in mezzo alla piazza, e schiacciò la nocciola: ed ecco venire fuori i più bei ninnoli, tanto belli da non poter spiegare a parole.

“Maestà” dissero i servitori alla Regina, “affacciatevi; venite a vedere che bella roba è esposta in piazza.”

La Regina s’affacciò, restò incantata da tali meraviglie, e disse ai servi: “Domandatele quanto vuole, che le voglio comprare.”

Quegli oggetti erano tutte pietre preziose, e brillavano talmente, che ci si accecava a guardarle.

I servi domandarono alla fanciulla quanto volesse ed ella rispose: “Voglio dormire una notte con lo sposo della Regina.”

A tale richiesta, i servitori scoppiarono a ridere: “Una donna strana, vuol dormire con lo sposo della Regina, ah ah!”

Quando fu riferito alla Regina, questa disse: “Bene, le sia accordato. Prendete questi bei gioielli e ditele di ripassare a mezzanotte.”

Poi, ordinò al bottigliere di mettere l’oppio nel vino del Re.

E il Re, che non sapeva nulla, lo bevve tutto, anche più del solito, e quando fu l’una, s’addormentò, e dormì come un sasso.

Nel frattempo, la vera moglie, che a mezzanotte in punto era stata accompagnata in camera sua, vedendolo arrivare, s’infilò nel letto, e disse: “Son Ginevra bella, che per ritrovarti ho consumato sette mazze di ferro, sette paia di scarpe di ferro, sette vestiti di ferro, e ho riempito sette fiaschetti di lacrime.”

Ma quello dormiva, e non sentì nulla; poi si fece giorno, la donna fu mandata via e tutto fu finito.

Allora, ecco che schiacciò la mandorla.

Figuratevi: tutte figurine che si muovevano e saltavano, di pietre preziose.

E i servi: “Maestà, c’è ancora la donnina di ieri: ma se vedeste che belle cose che ha! Molto più belle ancora!”

La Regina disse allora: “Domandatele quanto vuole.”

Quelli chiesero, ed ella rispose: “Darò alla Regina i miei averi, in cambio di una notte col suo sposo.”

E la Regina: “Sì, sì. Prendete tutto, e stasera fatela venire alla solita ora.”

E come il giorno prima, comandò al cantiniere di adulterare tutte le bottiglie di vino con l’oppio, come il giorno prima.

Il Re a pranzo bevve ancora di più del giorno prima!

E quando venne la sera, ecco la vera moglie entrare nel suo letto a cominciare a dire: “Son Ginevra bella, che per ritrovarti ho consumato sette mazze di ferro, sette paia di scarpe di ferro, sette vestiti di ferro e ho riempito sette fiaschettini di lagrime.”

Ma niente, il Re non si svegliò neanche con le cannonate.

E dal di fuori, le guardie, sentendo un mugolio, tesero le orecchie e sentirono tutti i lamenti della poveretta, e li impararono a memoria.

Sicché, il mattino dopo, quando il Re fu sveglio, andarono a raccontargli ogni cosa: “Maestà, dovete sapere che la notte viene una signora in camera vostra, che vi dice: «Son Ginevra bella, che per ritrovarti ho consumato sette mazze di ferro, sette paia di scarpe di ferro, sette vestiti di ferro e ho riempito sette fiaschettini di lacrime.» “

A queste parole, il Re, che dopo aver lasciato il palazzo di sua madre aveva dimenticato tutto, si ricordò finalmente della sua sposa.

E una delle guardie esclamò: “Ma Maestà, non lo sapete? A tavola vi fanno bere il vino con l’oppio! Non dovete berlo più”.

E Il Re rispose: “Ci starò attento.”

La mattina del terzo giorno, la vera moglie del Re Porco, schiacciò anche la noce, e figuratevi quali meraviglie ancor più belle uscirono fuori; infatti, la noce era più grossa sia della nocciola, che della mandorla, e ne uscì fuori un tesoro ancora più grande.

Quando le vide, la Regina disse ai servi di domandarle quanto voleva in cambio, ed ella rispose per la terza volta: “Voglio dormire una notte con il Re.”

Allora la Regina ordinò di ritirare tutte le ricchezze, e mandò a dire alla donna di presentarsi alla solita ora.

Ma la guardia che aveva riferito tutto al Re, andò dal cantiniere a minacciarlo: “Guai a te se metti l’oppio nel vino del Re, pena la morte. Quando la Regina te lo chiederà, tu fai finta di versarlo nella coppa del Re, versalo invece nella sua. Se farai come ti dico sarai ricompensato.”

E a pranzo, come al solito, il Re mangiò e bevve, ma questa volta, ad addormentarsi fu la Regina.

La misero a letto e lì restò.

Il Re andò nella sua camera, si spogliò e si mise a letto.

A mezzanotte, arrivò la vera moglie; il Re fece finta di dormire, ed ella cominciò a dire: “Son Ginevra bella, che per ritrovarti ho consumato sette mazze di ferro, sette paia di scarpe di ferro, sette vestiti di ferro e riempiti sette fiaschettini di lacrime.”

Glielo fece ripetere due o tre volte, poi fece finta di svegliarsi e l’abbracciò.

Riconobbe la sua sposa e disse: “Bisogna partire subito. Facciam fagotto e andiamo via.”

Andarono a recuperare tutti i gioielli e le pietre preziose uscite fuori dalla noce, dalla nocciola, e dalla mandorla, e fuggirono via, portandosi via tutto.

Ma prima di partire, il Re volle portarsi dietro la buona guardia che aveva fatto la spia, il cantiniere, e tutti i suoi fedeli, e via, con la sua sposa, alla volta del palazzo di sua madre, la quale, da quando tutta questa storia era cominciata, passava le sue giornate a letto, a piangere di dolore per il suo figliolo.

E quando il Re fece la sua entrata trionfale con la sua sposa e col suo seguito, fu un tripudio di gioia, con tutti i cortigiani ad esclamare: “Evviva, evviva! Ecco il nostro Re, ed ecco la nostra sovrana.” Sentendo tutto questo chiasso, la Regina Madre accorse e vide il figliolo e la nuora, e quest’ultima disse: “Ecco vostro figlio, che io sposai da porco, e che adesso è diventato un bel giovane.”

La madre abbracciò suo figlio e gli chiese perdono per tutte le disgrazie che aveva patito a causa sua; egli la perdonò e da quel momento vissero tutti quanti in santa pace.

Ma veniamo ora all’altra Regina, quella che aveva fatto drogare il vino del consorte.

A un certo punto, ecco che si svegliò, e chiamò a destra e a sinistra; andò per tutte le stanze, e vide che era stato portato via tutto.

Tutti i suoi beni erano spariti.

Allora andò allo scrigno a vedere tutte le gioie che aveva comprato in cambio delle tre notti, trovò che era vuoto.

Non trovò più nulla e cacciò un urlo assordante, e dal dolore cadde e morì, stecchita.

E così, è finita.

- Fiaberella
Condividi