La fiaba del cavaliere verde

C’erano una volta un re ed una regina che avevano un’unica figlia, e quando la bimba era ancora molto piccola, la mamma si ammalò di una grave malattia; quando fu in punto di morte, ella chiamò a sé il marito e disse: “Mio caro e adorato consorte, promettetemi solennemente che da questo momento farete di tutto per accontentare la nostra bambina in ogni suo desiderio”. Il re promise e poco dopo la regina morí. Morta la regina, il re fu inconsolabile: neanche il pensiero della sua cara creatura fu sufficiente a lenire le sue pene, poiché aveva amato talmente la moglie, che ora il dolore della perdita era troppo grande.

Gli anni passarono, e il re non ebbe difficoltà a mantenere la promessa fatta alla regina: egli esaudiva ogni richiesta che la figliola gli faceva, a costo di viziarla un po’; la principessina era comunque cresciuta bene, era una ragazza buona e affettuosa a cui non mancava nulla, se non l’amore di una madre. Per questo, la principessa crebbe triste e malinconica: da bambina non dimostrò mai interesse ai giochi e ai divertimenti come fanno tutti gli altri bambini del mondo, ma preferiva invece trascorrere il suo tempo in lunghe passeggiate solitarie nei giardini e nei boschi della reggia. Amava e rispettava profondamente la natura, adorava i fiori e gli uccelli, inoltre le piaceva moltissimo leggere poesie e racconti.

Nei pressi del palazzo reale viveva una contessa vedova con sua figlia, una ragazza poco più grande d’età della principessa; la contessina, però, non era affatto di buona indole come la sua coetanea: era vanitosa ed egoista, e cattiva di cuore, mentre era scaltra come la madre, e capace di mentire per servire i suoi scopi. L’astuta contessa non perdeva occasione per incoraggiare l’amicizia tra le due ragazze, ed entrambe facevano di tutto per compiacerla e divertirla. Cosí, la principessa s’affezionò terribilmente alla contessina, che in breve tempo non poté più fare a meno della sua compagnia.

La principessa, senza saperlo, fece esattamente il gioco della vecchia contessa, che aveva ottenuto proprio quello che voleva, e un giorno istruí per bene la figlia ad andare in lacrime dalla principessa facendole credere che esse dovevano separarsi per sempre perché madre e figlia erano in procinto di partire per nuove terre lontane. Allora la principessa corse dalla contessa a supplicarla di restare, perché non poteva più vivere senza l’amica, e che se questa fosse partita, le avrebbe spezzato il cuore: la contessa finse di essere profondamente addolorata per il fatto, e disse che c’era un’unica via di uscita, ossia che suo padre il re medesimo acconsentisse a sposarla. In questo modo tutte e tre sarebbero rimaste per sempre insieme e il cuore della principessa si riempí di gioia a questo pensiero. Quindi, andò da suo padre e lo implorò di prendere la contessa in moglie, altrimenti la signora se ne sarebbe andata via lontano con sua figlia, e le si sarebbe spezzato perciò il cuore dal dolore. Ma il buon re rispose: “Potrei anche accontentarti, ma temo che te ne pentiresti”, “e anch’io stesso me ne pentirei, perché non sento proprio il bisogno di risposarmi, specialmente con una signora che neanche conosco.” La principessa però non smise di piangere e di disperarsi finché non riuscí a strappare la promessa a suo padre: cosí, per amore di sua figlia, il re chiese la mano della contessa, la quale acconsentí, ovviamente. Poco tempo dopo, la cerimonia ebbe luogo, e la contessa divenne regina e ora era anche la matrigna della principessa. Ma dopo il matrimonio, tutto cambiò: la matrigna cominciò a tormentare e a maltrattare la figliastra, mentre per sua figlia, niente era abbastanza; anche la sorellastra smise di essere buona con lei, e tutte e due fecero di tutto per rovinarle la vita. Il re, che assisteva impotente a tutto questo, non poteva rimanerne indifferente, perché adorava immensamente la sua bambina, e cosí, un giorno, le fece una proposta: “Povera piccina mia, come temevo, ora ti sarai pentita amaramente di aver insistito per farmi sposare quella donna, e ora quelle due ti hanno reso una vita un inferno! Però fortunatamente, siamo ancora in tempo per rimediare: io penso che per te sia molto meglio andare a stare nel mio palazzo sull’isola, che é la residenza estiva della nostra famiglia: lí starai in pace.” La principessa fu d’accordo con suo padre, e nonostante le costasse molto dolore andar via, lo fece, perché non ce la faceva proprio più a stare accanto alla perfida matrigna e alla malvagia sorellastra. Cosí, crebbe e divenne una splendida dama, pura, innocente e buona con tutti, sia con gli esseri umani che con gli animali, ma triste e infelice.

Un giorno, suo padre andò da lei per salutarla, perché doveva partire per recarsi a un grande raduno di nobili e sovrani di altre terre, e non sarebbe tornato per molto tempo. Nondimeno, egli desiderava renderle omaggio in qualche modo, perciò le disse che avrebbe cercato attentamente uno sposo degno di lei tra tutti i nobili e i gentiluomini che avrebbe incontrato. La principessa annuí e rispose: “Ti ringrazio, mio caro padre; se ti capiterà di trovare il Cavaliere Verde, salutalo da parte mia e digli che io lo aspetto, perché lui é il solo che potrebbe alleviare le mie pene.” Cosí dicendo, la principessa pensava al cimitero con tutte le sue tombe verdi, poiché la sua infelicità era tale che ormai desiderava solo morire. Il re però non comprese lí per lí le sue parole, ma per amore di sua figlia si augurò di trovare presto quello strano cavaliere che non aveva mai sentito nominare prima di allora, e dopo un tenero addio, si congedò da lei.

Alla riunione gli presentarono molti principi, cavalieri e gentiluomini, ma nessuno di loro era il Cavaliere Verde, perciò non poté consegnare il messaggio della figlia a nessuno. Alla fine si rassegnò a tornarsene a casa: durante il viaggio dovette attraversare vaste foreste e lunghi fiumi, finché giunse presso una grande pianura dove pascolavano migliaia di cinghiali, che, però, non sembravano affatto selvatici, ed erano sorvegliati da un pastore in abiti da cacciatore, seduto su un colle e circondato da cani, mentre suonava un piffero che funzionava da richiamo per il bestiame. Il re, stupito alla vista di quei branchi di cinghiali addomesticati, mandò a informarsi presso il pastore, per sapere a chi appartenessero, e quello rispose che erano del Cavaliere Verde. Allora, ricordandosi della promessa fatta a sua figlia, scese da cavallo e andò lui stesso dal pastore a chiedergli dove viveva il Cavaliere. Quello gli rispose che il Cavaliere Verde risiedeva lontano da lí, da qualche parte verso est, e di seguire il sentiero finché avrebbe trovato altri pastori che certamente gli avrebbero saputo indicare la strada per il castello. Cosí, il re e il suo seguito cavalcarono per tre lunghi giorni in direzione est, passando per una grande foresta, finché arrivarono ad un’ampia vallata circondata da grandi boschi, dove una mandria ancora più grande di alci e buoi selvatici pascolavano tranquilli, sorvegliati da un altro pastore vestito da cacciatore, e dai suoi cani. Il re cavalcò fino a lui e gli chiese chi fosse il proprietario di tutti quegli animali, e quello rispose ancora che si trattava del Cavaliere Verde, che abitava più a est. Per altri tre giorni il re e i suoi uomini proseguirono a cavallo verso est, finché giunsero a una nuova pianura verde dove pascolavano grandi mandrie di cervi e caprioli, e il pastore del posto riferí che il proprietario di tutto era il Cavaliere Verde, che abitava poco più distante, e che sarebbe bastato un solo giorno per arrivarci. Il re cavalcò ancora per un altro giorno, attraversando verdi sentieri, verdi boschi, finché finalmente arrivò al castello che era verde anch’esso, e completamente ricoperto di vigneti e piante rampicanti. Appena giunti davanti al castello, il re e la sua scorta furono accolti da un gran numero di servitori e stallieri, tutti vestiti in uniformi verdi, e il re fu annunciato subito al padrone. E il signore del castello (un bellissimo giovane, alto e slanciato e vestito di verde), accolse i suoi ospiti con modi gentili e signorili. Disse poi il re al Cavaliere: “Signore, voi vivete assai lontano dal mio regno, e cosí grandi ed estesi sono i vostri territori, che ho dovuto affrontare un lunghissimo viaggio per arrivare fino a qui ad onorare il desiderio di mia figlia, e per consegnarvi il suo messaggio. Quando sono partito per il mio viaggio, le ho promesso che avrei cercato per lei il Cavaliere Verde, e dunque sono qui a riferirvi che ella desidera incontrarvi, che vi aspetta, perché secondo lei, soltanto Voi siete in grado di lenire le sue pene. Mi rendo conto che questa richiesta possa suonare alquanto bizzarra alle vostre orecchie, ma vi assicuro che mia figlia é una giovane di gran valore e giudizio, e, inoltre, io promisi a sua madre in punto di morte che l’avrei sempre accontentata. Perciò sono qui per mantenere la promessa che le ho fatto.” E il Cavaliere Verde rispose: “Vostra figlia soffre molto, e di sicuro non era a me che pensava quando vi riferí quelle parole, poiché ella ed io non ci siamo mai conosciuti: probabilmente, é al cimitero, con le sue grandi e verdi tombe, che pensava, e forse é la morte che ella vuole incontrare, ma io credo di avere qualcosa che potrà alleviare il suo dolore e darle gioia: prendete questo libro e ditele che quando si sentirà triste e con il cuore straziato, non dovrà far altro che aprire la finestra che dà sull’est e leggerlo, e subito si sentirà felice.” Cosí, il Cavaliere Verde consegnò al re un libro verde, scritto in una lingua che il re non capiva: il re, però, lo prese ugualmente, ringraziando caldamente il Cavaliere Verde per la splendida accoglienza, spiacente di averlo dovuto disturbare senza essere stato invitato. Poi, con il suo seguito dovette trascorrere la notte al castello del Cavaliere, da dove sarebbe ripartito solo il mattino seguente. Il Cavaliere Verde disse che lo avrebbe ospitato più a lungo e volentieri, ma il re rispose che non poteva assolutamente fermarsi, e cosí, il giorno dopo prese commiato dal suo gentile ospite e ripartí alla volta del suo regno. Ripercorse con il suo corteo la strada dell’andata, attraverso tutti i vasti territori del Cavaliere Verde, finché giunse dritto a casa.

La prima cosa che volle fare al suo rientro, fu di recarsi subito dalla figlia al castello sull’isola, per portarle il libro verde da parte del Cavaliere Verde. A quelle notizie sensazionali, ella rimase molto stupita, perché non si aspettava di certo che il Cavaliere Verde esistesse per davvero, ma quella stessa sera, dopo che il padre se ne fu andato, la principessa aprí la finestra che dava ad est e cominciò a leggere il libro verde, anche se era scritto in una lingua a lei straniera; era un libro di poesie, scritto in una lingua molto bella, e la prima che lesse, testé recitava:

Soffia il vento dal mare, veloce corre su verdi boschi e prati, e quando sulla terra s’affaccia silenziosa la notte, quale gentildonna vorrà il Cavaliere Verde portare a nozze?

Leggendo il primo verso, udí chiaramente il soffio del vento sulle acquee; al secondo, sentii stormire le chiome degli alberi, al terzo, vide che le sue dame crollarono addormentate, e tutto il palazzo era piombato in un profondo sonno. Alla lettura della quarta riga, il Cavaliere Verde sotto forma di uccello balzò al volo dentro la sua finestra, poi riprese le sue sembianze umane e l’omaggiò rispettosamente, invitandola a non avere paura, perché egli era il famoso Cavaliere Verde che le aveva donato il libro di poesie che stava leggendo, e che proprio per mezzo di quei versi, era stato trasportato lí telepaticamente. La principessa si sentí subito libera di parlargli apertamente, e questo le procurò un istantaneo benessere; instaurò con lui un rapporto di gran confidenza, e riuscí pertanto ad aprirgli il cuore: dal canto suo, il Cavaliere Verde le dimostrò tanta sensibilità ed empatia, da suscitare in lei una gran felicità, mai avvertita prima. Ed egli le disse che ogni volta che si sentiva sola e triste, non avrebbe dovuto fare altro che aprire il libro, leggere gli stessi versi, e tutto si sarebbe ripetuto come per magia: sull’isola e sui suoi abitanti sarebbe calato il silenzio, tranne che su di lei, e nello stesso istante ella avrebbe ricevuto una sua visita a rallegrarla. Poteva fare cosí ogni volta che ne avesse sentito il bisogno, disse, e che ora era venuto il momento per lei di coricarsi e riposare. E nello stesso istante in cui la principessa richiuse il libro, il Cavaliere Verde scomparve, e tutta la corte si risvegliò, poi ella andò a letto e sognò di lui, e ricordò tutto quanto si erano detti. Quando si svegliò il mattino dopo, si sentí deliziosamente leggera e felice come non era mai stata, e cosí, giorno dopo giorno, la sua salute migliorò; le sue gote presero colore ed ella cominciò a ridere e a scherzare, e tutti questi cambiamenti destarono gran stupore in tutta la servitù. Il re suo padre pensò che il merito fosse tutto dell’aria buona e del grazioso libretto: la principessa annuí, ma nessuno sapeva come stavano realmente le cose, e ignoravano che ogni sera ella riceveva le visite del Cavaliere Verde, e che trascorrevano il tempo a chiacchierare insieme piacevolmente. La terza sera egli le diede un anello d’oro in segno di fidanzamento, e le annunciò che di lí a tre mesi, non prima, si sarebbe recato da suo padre a chiedere la sua mano. Quel giorno, l’avrebbe presa con sé e l’avrebbe condotta al suo castello come sua legittima sposa.

Nel frattempo, la matrigna cattiva venne a sapere che la figliastra godeva di ottima salute e che diventava ogni giorno più bella, perché era più felice che mai, e questo la rese furiosa, perché credeva e sperava che la figliastra si ammalasse fino a morire, poiché desiderava che sua figlia prendesse il suo posto sul trono diventando principessa, potendo cosí ereditare le fortune del regno. Cosí, un giorno inviò una sua dama di corte sull’isola a far visita alla principessa, sperando di scoprire quale fosse il segreto di quella improvvisa fioritura. Il giorno dopo la donna tornò dicendo che, a quanto sembrava, la principessa trovava giovamento nella lettura serale di un libro, e che, grazie a ciò, riceveva tutte le sere la visita di un bellissimo principe a rallegrarla, ma che non aveva potuto accertarsene di persona, poiché l’aria della notte l’aveva rilassata fino a farla addormentare, e che lo stesso strano fatto accadeva puntualmente a tutti i membri della corte che lamentavano di peggiorare di salute, mentre la principessa, al contrario, diventava ogni giorno più florida.

Il giorno dopo, la regina mandò sua figlia stessa a spiare la sorellastra, e le raccomandò di fare molta attenzione ai movimenti della principessa: “C’é qualcosa di misterioso in questa faccenda.. si dice che ci sia di mezzo un uomo.” La figlia della regina ritornò a casa il giorno seguente, ma non seppe fornire alla madre niente di più di quanto aveva precedentemente riferito la dama, in quanto, anche a lei era capitato d’addormentarsi profondamente nel mentre stesso in cui la principessa sedette alla finestra a leggere. Allora, il terzo giorno la regina decise di recarsi di persona a far visita alla figliastra: finse di essere dolce e affettuosa e finse di essere felice per lei nel vedere quanto stava bene, poi, fece molte domande alla principessa per cercare di capire la verità, ma dalla ragazza non riuscí a sapere nulla. La sera andò ad esaminare la finestra ad est dove la principessa era solita sedere a leggere il suo libro, ma non riuscí a scoprire nulla di particolare: era molto alta, ma era ricoperta da rampicanti verdi dall’alto in basso, e dedusse pertanto, che poteva anche essere possibile per un giovane in buona salute arrampicarsi sui rami e salire fino a lí. Perciò, la scaltra regina si muní di forbici, che intinse di veleno, e le annodò alla finestra con le punte in alto, in modo che nessuno potesse scorgerle. Quando venne la sera, la principessa sedette al suo posto presso la finestra con in mano il suo libro verde, e la regina pensò che doveva fare molta attenzione a non farsi sorprendere a sua volta dal sonno, ma non riuscí a resistere e alla fine, quando la principessa cominciò a leggere, le sue palpebre si chiusero e crollò addormentata insieme agli altri. Nello stesso momento, arrivò il Cavaliere Verde trasformato in uccello e oltrepassò la finestra senza essere visto da nessuno, tranne che dalla principessa. I due giovani parlarono d’amore e si rallegrarono poiché mancava una sola settimana allo scadere dei tre mesi fissati, e poi egli avrebbe potuto andare dal re a chiedere la sua mano. Felici e innamorati, immaginavano trepidanti il giorno in cui egli l’avrebbe portata nella sua grande casa, quel palazzo tanto lontano da lí, che capeggiava i vasti territori verdi del Cavaliere Verde, e di cui egli le aveva tanto parlato. Poi, il Cavaliere diede un tenerissimo arrivederci alla sua amata, si ritrasformò in uccello e volò via, fuori dalla finestra, ma questa volta volò basso, e non poté fare a meno di restare ferito a una gamba dalle forbici che la perfida regina aveva messo al davanzale come trappola: egli emise istintivamente un verso di dolore, poi scomparve. La principessa però udí il grido, quindi, si alzò di scatto dalla sedia, ma il libro le cadde per terra e si richiuse; ella stessa emise un grido di spavento, e in quel mentre tutto il palazzo si risvegliò. Anche la regina si svegliò, e tutti accorsero per vedere cosa era successo: la fanciulla rispose che non era accaduto nulla di grave, che si era svegliata spaventata da un brutto sogno. Ma subito dopo alla principessa venne la febbre alta e dovette rimanere a letto. La regina si sbrigò a recuperare le forbici, e vide che erano insanguinate, e di ciò si compiacque, perché voleva dire che ci aveva visto giusto. Avvolse le forbici in un fazzoletto e le portò via.

Quella notte, la principessa non riuscí a chiudere occhio, e il giorno dopo si sentí terribilmente debole; nonostante tutto, quella sera si alzò ugualmente dal letto per prendere un po’ d’aria fresca, cosí, si sedette alla finestra, aprí il suo amato libro e lesse ancora una volta:

Soffia il vento dal mare, veloce corre su verdi boschi e prati, e quando sulla terra s’affaccia silenziosa la notte, quale gentildonna vorrà il Cavaliere Verde portare a nozze?

Il vento sibilò, gli alberi stormirono, e tutti dormirono come di consueto, tranne lei: ma quella sera il Cavaliere non venne, e fu cosí per tanti altri giorni ancora. La principessa attese speranzosa, guardava la finestra e leggeva il suo libro, proferiva i versi famosi, ma del Cavaliere Verde, neanche l’ombra. E fu cosí che alla fine, le sue belle gote rosee impallidirono di nuovo, e il suo cuore, che un giorno fu gonfio di gioia, tornò ad essere pieno di tristezza e infelicità: piano piano deperiva ogni giorno di più, sotto gli angosciati occhi del padre, ma con segreta soddisfazione della regina cattiva.

Un giorno la principessa si spinse flebilmente fino al giardino del castello, e si sedette su una panca sotto un alto albero, e vi rimase a lungo, sopraffatta dai suoi dolorosi pensieri, e mentre se ne stava cosí sola, arrivarono in volo due corvi che si posarono su un ramo sopra la sua testa e cominciarono a chiacchierare tra di loro e a dire: “E’ un vero peccato,” disse uno, “vedere la nostra povera principessa che si dispera cosí tanto per il suo amato.” “Sí” rispose l’altro, “specialmente sapendo che ella é l’unica che può curarlo dalle ferite inflitte dalle forbici avvelenate della regina.” “Cioé?” chiese il primo corvo. “Solo l’amore scaccia il male,” rispose l’altro corvo, “Al castello del re, sotto una pietra del fosso, a ovest delle scuderie, c’é una vipera con nove piccoli. Se la principessa riuscisse a catturarli e a cuocerli, e a nutrire l’amato ogni giorno con queste bestiole, lui potrebbe facilmente guarire, altrimenti, sarà la fine per lui.”

Cosí, quando calò la notte, la principessa sgusciò via, verso il castello del re. Alla spiaggia trovò una barca, e remò fino al palazzo; corse alla buca dove stavano le vipere, e, pesante com’era la pietra, la fece rotolare via e sotto ci trovò le nove viperette. Le raccolse, le conservò in un fazzoletto, e si mise sul sentiero che portava al castello dell’amato, lo stesso che aveva un percorso un tempo anche suo padre il re. Viaggiò cosí a piedi per settimane e mesi attraversando alti monti e vaste foreste, fino a quando giunse finalmente presso lo stesso pastore che aveva incontrato il re. Quello le indicò la via per arrivare al secondo pastore, e cosí via fino all’ultimo. Alla fine giunse al castello dell’amato, il Cavaliere Verde, gravemente ammalato da mesi, che giaceva incosciente nel suo letto, in preda al delirio della malattia. Grandi medici e sapienti erano stati chiamati da ogni parte del mondo, ma nessuno di loro aveva trovato rimedio per strapparlo da morte ormai certa.

La principessa si recò nelle cucine e chiese di essere assunta: disse che avrebbe fatto volentieri qualsiasi lavoro, anche lavare i piatti, pur di poter restare al palazzo del padrone. Il cuoco acconsentí, e, dal momento che essa era cosí candida e modesta e volonterosa, trovò presto in lei una valida lavorante, che svolgeva ogni giorno varie mansioni. Cosí, presto ella gli chiese di poter preparare la zuppa per il padrone malato: “So esattamente come va cucinata, ma ci tengo moltissimo a farla da sola”. Il cuoco acconsentí, e cosí ella cucinò tre dei nove piccoli di vipera e li mise nel pasto del padrone, e la zuppa fu servita al povero malato. Già al primo pasto di quella miracolosa ricetta, il Cavaliere Verde si sentí subito meglio, la febbre scese a tal punto che riprese conoscenza dei presenti, e fu anche in grado di proferire parola; allora, chiamò il cuoco e volle sapere se era stato lui a preparare quella zuppa che gli aveva fatto tanto bene. Il cuoco, mentendo, asserí di essere stato lui, e che a nessun altro era permesso cucinare i pasti del padrone. Il Cavaliere Verde lo pregò allora di preparargliene ancora all’indomani. A questo punto, fu lo stesso cuoco che pregò la principessa di cucinare nuovamente il pasto per il padrone, esattamente allo stesso modo in cui l’aveva fatto il giorno prima, poiché il Cavaliere l’aveva cosí tanto gradito. Allora, la principessa mise altri tre cuccioli di vipera nella minestra successiva, e, questa volta, dopo averla mangiata tutta, il Cavaliere si sentí talmente bene che addirittura poté sedersi sul letto. Alla luce di questi clamorosi avvenimenti, tutti i medici rimasero stupefatti e nessuno seppe spiegare scientificamente il miracoloso miglioramento del Cavaliere Verde, allora, giunsero all’unica conclusione possibile che potevano essere state soltanto le loro medicine a fare finalmente effetto.

Il terzo giorno, la principessa dovette preparare nuovamente la zuppa, e vi mise gli ultimi tre cuccioli di vipera. Consumata anche quest’ultima dose, ecco che il Cavaliere saltò giù dal letto, perfettamente risanato. Immensamente grato al suo guaritore, volle andare giù nelle cucine per ringraziare personalmente l’autore di quelle minestre miracolose. Ora, avvenne che quando arrivò in cucina, ci trovò soltanto una servetta che stava lavando i piatti. Ma come la vide, riconobbe in lei la sua adorata fidanzata, e subito comprese quanto ella aveva fatto per salvarlo. L’abbracciò e disse: “Sei stata tu, dunque, a salvarmi la vita, curandomi dal veleno che mi fu iniettato quella volta in cui volai radente dalla tua finestra, quando rimasi ferito con quelle forbici che la tua perfida matrigna aveva nascosto sul davanzale?” Ella non poté negare, e ora il suo cuore rideva di gioia, insieme a quello dell’amato.

Poco tempo dopo, furono celebrate le nozze, lí, al castello verde del Cavaliere Verde, e ora essi saranno probabilmente ancora lí, insieme, a regnare sui territori verdi dalle grandi e vaste pianure verdi.

- Fiaberella
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