La fiaba del cavallo incantato-Parte II

Nel frattempo il principe Firuz Shah fu sollevato in aria con la rapidità che abbiamo detto e in meno di un’ora si vide tanto in alto da non distinguere più niente sulla terra, dove le montagne e le valli gli sembravano confuse con le pianure. Allora pensò di ritornare là da dove era partito. Pensò, che girando lo stesso cavicchio in senso opposto e girando nello stesso tempo la briglia, vi sarebbe riuscito, ma fu sommamente stupito quando vide che il cavallo continuava a innalzarlo con la stessa rapidità. Girò e rigirò parecchie volte il cavicchio, ma inutilmente. Solo allora riconobbe il grave errore che aveva commesso non facendosi dare dall’indiano tutte le informazioni necessarie per ben manovrare il cavallo, prima di salirvi in sella. In quel momento, capì la gravità del pericolo in cui si trovava, ma questa consapevolezza non gli fece perdere la testa: si raccolse in sé stesso, con tutto il buon senso di cui era capace, e, esaminando attentamente la testa e il collo del cavallo, vide un altro cavicchio, più piccolo e meno evidente del primo, vicino all’orecchio destro del cavallo. Girò il cavicchio; subito si rese conto di scendere verso terra con una traiettoria simile a quella con la quale era salito, ma meno velocemente. Da circa una mezz’ora le tenebre della notte ricoprivano la terra nel punto in cui il principe Firuz Shah si trovava perpendicolarmente quando girò il cavicchio. Ma, dato che il cavallo continuò a scendere, poco dopo il sole tramontò anche per lui finché egli si trovò completamente immerso nelle tenebre della notte. E così, ben lontano dallo scegliere un posto dove posarsi a suo agio, fu costretto ad allentare la briglia sul collo del cavallo, aspettando con pazienza che finisse di scendere, non senza inquietudine circa il posto in cui si sarebbe fermato, e cioè se si sarebbe trattato di un posto abitato, di un deserto, di un fiume o del mare. Finalmente il cavallo si fermò e si posò a terra. Era mezzanotte passata; e il principe Firuz Shah scese a terra in uno stato di grande debolezza che gli veniva dal non aver mangiato niente dalla mattina del giorno che era appena finito, prima di uscire dal palazzo con il re suo padre per assistere agli spettacoli della festa. La prima cosa che fece, nell’oscurità della notte, fu di cercare di capire dove fosse, e vide che si trovava sul tetto a terrazza di un magnifico palazzo, coronato da una balaustra di marmo che serviva da parapetto. Esaminando la terrazza trovò la scala, per cui vi si saliva dal palazzo, la cui porta non chiusa, ma accostata. Chiunque altro al posto del principe Firuz Shah non avrebbe forse osato scendere nella grande oscurità che regnava in quel momento nella scala; in più si presentava la difficoltà di non sapere se avrebbe trovato amici o nemici: considerazione che non fu capace di fermarlo. ‘ Io non vengo per far del male a nessuno, ‘ disse fra sé; ‘ evidentemente quelli che mi vedranno per primi, vedendomi senza armi in pugno, avranno l’umanità di ascoltarmi prima di uccidermi”. Aprì di più la porta, senza far rumore, e scese con grande precauzione per evitare di fare qualche passo falso il cui rumore avrebbe potuto svegliare qualcuno. Vi riuscì; e a un certo punto della scala trovò aperta la porta di un salone, nel quale la luce era accesa. Il principe Firuz Shah si fermò sulla porta; e, tendendo l’orecchio non sentì altro rumore se non quello di persone che dormivano profondamente e che russavano in diversi modi. Avanzò un pò nella sala, e, alla luce di una lanterna, vide che quelli che dormivano erano eunuchi negri, ciascuno con la sciabola sguainata al suo fianco; e questo gli fece capire che si trattava della guardia dell’appartamento di una regina o di una principessa; ed effettivamente era quello di una principessa.

La camera in cui dormiva la principessa veniva dopo questa sala, e che la porta era aperta lo rivelava la forte luce da cui la stanza era illuminata e che traspariva da una portiera di stoffa di seta molto leggiera. Il principe Firuz Shah avanzò fino alla portiera in punta di piedi, senza svegliare gli eunuchi. L’aprì; e, quando fu entrato, senza fermarsi a considerare la magnificenza veramente regale della camera, circostanza che poco gli interessava nello stato in cui era, prestò soltanto attenzione a quello che più gli premeva. Vide parecchi giacigli, di cui uno soltanto era sul divano e gli altri a terra. In questi ultimi dormivano le ancelle della principessa per tenerle compagnia e assisterla nelle sue necessità, e nel primo dormiva la principessa. Da questa distinzione il principe Firuz Shah non ebbe dubbi sulla scelta che doveva fare per rivolgersi alla principessa in persona. Si avvicinò al suo letto senza svegliare né lei né alcuna delle sue ancelle. Quando fu abbastanza vicino, vide una fanciulla di una bellezza straordinaria e così sorprendente, che ne fu incantato e infiammato d’amore al primo sguardo. ‘ Cielo! ‘ esclamò fra sé, ‘ il destino mi ha portato in questo posto per farmi perdere la libertà, che fino a questo momento ho conservato interamente? Non devo forse aspettarmi una sicura schiavitù appena lei aprirà gli occhi, se questi occhi, come devo presumere, completano lo splendore e la perfezione di un insieme di attrattive e di grazie così meravigliose? Devo decidermi a parlarle, poiché ritirarmi significherebbe uccidermi e poiché la necessità ordina così ‘. Nel finire queste riflessioni sullo stato in cui si trovava e sulla bellezza della principessa, il principe Firuz Shah si mise in ginocchio e, prendendo l’orlo della manica pendente della camicia della principessa da cui usciva un braccio ben tornito e bianco come la neve, la tirò molto leggermente. La principessa aprì gli occhi e, grandemente stupita nel vedersi davanti un uomo tanto ben fatto, elegante e di bell’aspetto, si turbò, senza mostrare tuttavia nessun segno di terrore o di spavento. Il principe approfittò di questo momento favorevole; abbassò la testa fin quasi al tappeto e, rialzandola, disse: “Rispettabile principessa, la più straordinaria e meravigliosa avventura che si possa immaginare ha portato ai vostri piedi un supplichevole principe, figlio del re di Persia, che ieri mattina si trovava vicino al re suo padre tra i divertimenti di una festa solenne e che ora si trova in un paese sconosciuto, dove corre il pericolo di morire se voi non avrete la bontà e la generosità di assisterlo con il vostro aiuto e la vostra protezione. Imploro questa protezione, adorabile principessa, con la fiducia che non me la negherete. Oso sperare questo con tanto più fondamento in quanto non è possibile che l’inumanità si unisca con tanta bellezza, tante grazie e tanta maestà.” La principessa, alla quale il principe Firuz Shah si era così fortunatamente rivolto, era la principessa del Bengala, figlia primogenita del re di quel regno, che le aveva fatto costruire a poca distanza dalla capitale un palazzo dove lei veniva spesso per distrarsi lontano dalla città. Dopo averlo ascoltato con tutta la benevolenza che egli poteva desiderare, gli rispose con pari bontà: “Principe, rassicuratevi; non siete in un paese barbaro, l’ospitalità e la cortesia non sono meno osservate nel regno del Bengala che nel regno di Persia. Non sono io a concedervi la protezione che mi chiedete; l’avete trovata già pronta non solo nel mio palazzo, ma anche in tutto il regno: potete credermi e fidarvi della mia parola.” Il principe di Persia voleva ringraziare la principessa del Bengala per la cortesia e per la grazia che gli concedeva così gentilmente, e aveva già chinato molto profondamente la testa per rivolgerle la parola, ma lei non gli diede il tempo di parlare: “Nonostante il mio forte desiderio di sapere da voi per quale prodigio avete impiegato così poco tempo per venire qui dalla capitale della Persia, e per quale incantesimo siete potuto penetrare in questo palazzo e presentarvi davanti a me tanto cautamente da ingannare la vigilanza della mia guardia, poiché, tuttavia, non è possibile che non abbiate bisogno di mangiare, e considerandovi come un ospite gradito, preferisco rimandare la mia curiosità a domani mattina e dare ordine alle mie ancelle di assegnarvi una delle mie camere, di offrirvi una buona cena e di lasciarvi riposare e rimettere in sesto finché non sarete in condizione di soddisfare la mia curiosità e finché io non sarò in condizione di ascoltarvi. Le ancelle della principessa, che si erano svegliate alle prime parole rivolte dal principe Firuz Shah alla principessa loro padrona, tanto più stupite di vederlo al capezzale del suo letto, in quanto non riuscivano a capire in che modo avesse potuto arrivarvi senza svegliare né loro né gli eunuchi; le ancelle, dicevo, appena ebbero compreso l’intenzione della principessa, si vestirono in fretta e furono pronte ad eseguire subito i suoi ordini. Ognuna di loro prese una delle lampade che illuminavano in gran numero la camera della principessa, e, quando il principe ebbe preso congedo dalla loro padrona ritirandosi molto rispettosamente, esse lo precedettero e lo portarono in una bellissima camera, dove alcune gli prepararono un letto, mentre altre andarono in cucina e nella dispensa. Nonostante l’ora inopportuna, le ancelle della principessa del Bengala non fecero aspettare molto il principe Firuz Shah. Portarono diverse qualità di cibi in grande abbondanza. Egli scelse ciò che volle e, dopo aver mangiato a sufficienza secondo la propria necessità, le ancelle sparecchiarono e lo lasciarono libero di coricarsi, dopo avergli mostrato parecchi armadi dove avrebbe trovato tutte le cose che potevano servirgli.

La principessa del Bengala, continuando a pensare alle attrattive, allo spirito, alla gentilezza e a tutte le altre belle qualità del principe di Persia, che l’avevano colpita durante la loro breve conversazione non era ancora riuscita a riaddormentarsi quando le sue ancelle rientrarono nella camera per coricarsi. Chiese loro se avevano avuto buona cura di lui; se lo avevano lasciato soddisfatto; se non gli mancava niente e, soprattutto, che cosa pensavano di questo principe. Le ancelle della principessa, dopo aver risposto alle sue prime domande, risposero all’ultima: “Principessa,” dissero, “noi non sappiamo che cosa ne pensiate voi. Quanto a noi, vi considereremmo molto fortunata se il re vostro padre vi desse in sposo un principe così attraente. Non ce n’è uno alla corte del Bengala che possa stargli alla pari, e non sappiamo se neppure negli Stati vicini ce ne sia qualcuno degno di voi. Questo lusinghiero discorso non dispiacque alla principessa del Bengala; ma, poiché non voleva manifestare il proprio sentimento, impose loro silenzio. “Siete delle chiacchierone,” disse; “rimettetevi a letto e lasciatemi dormire.”

Il giorno dopo, la principessa, non appena si fu alzata, si mise davanti allo specchio. Fino a quel momento non aveva mai avuto tanta cura come quel giorno nel pettinarsi e acconciarsi, consultando il suo specchio. Le sue ancelle non avevano mai avuto bisogno di tanta pazienza per fare e disfare parecchie volte la stessa cosa finché non fu soddisfatta. ‘ Non sono dispiaciuta al principe di Persia in camicia, me ne sono accorta benissimo, ‘ diceva tra sé la principessa: ‘ egli vedrà ben altro quando avrò indossato tutti i miei ornamenti ‘. Si ornò il capo con i diamanti più grossi e più splendenti, e si mise una collana, dei braccialetti e una cintura con le stesse pietre preziose, il tutto di inestimabile valore; e il vestito che indossò era della più ricca stoffa di tutte le Indie, che veniva tessuta soltanto per i re, i principi e le principesse, e di un colore che la presentava degnamente in tutte le sue attrattive. Dopo aver consultato ancora diverse volte il suo specchio, e aver chiesto alle ancelle se mancava qualcosa al suo abbigliamento, mandò a chiedere se il principe di Persia era sveglio, e nel caso fosse già pronto, poiché era sicura che egli altro non chiedeva se non di vederla, ordinò di dirgli che sarebbe andata lei stessa da lui e che aveva le sue ragioni per agire così. Il principe di Persia, che aveva guadagnato sul giorno quello che aveva perso della notte, e che si era perfettamente rimesso dal suo faticoso viaggio, aveva appena finito di vestirsi, quando ricevette il buon giorno della principessa del Bengala da una delle sue ancelle. Il principe, senza dare all’ancella il tempo di comunicargli quello che doveva dirgli, le chiese se la principessa fosse in condizione di ricevere i suoi doveri e i suoi omaggi. Ma quando l’ancella gli ebbe comunicato l’ordine ricevuto dalla principessa, egli disse: “La principessa è la padrona, e io sono in casa sua solo per eseguire i suoi ordini.” Appena la principessa del Bengala ebbe saputo che il principe di Persia l’aspettava, andò da lui. Dopo i reciproci complimenti, da parte del principe che le chiese mille volte perdono per averla svegliata nel più profondo del suo sonno, e da parte della principessa che gli chiese come avesse passato la notte e come stesse, la principessa si sedette sul divano e il principe seguì il suo esempio, sedendosi per rispetto a una certa distanza. Allora la principessa, cominciando a parlare, disse: “Principe, avrei potuto ricevervi nella camera dove questa notte mi avete vista coricata; ma, poiché il capo dei miei eunuchi è libero di entrarvi e, invece, non entra mai qui senza il mio permesso, impaziente come sono di apprendere da voi la sorprendente avventura che mi procura il piacere di vedervi, ho preferito venire ad ascoltarla qui, in un posto dove non saremo interrotti. Vi scongiuro di farmi la cortesia di soddisfare la mia richiesta.” Per accontentare la principessa del Bengala, il principe Firuz Shah cominciò il suo racconto dalla festa solenne e annuale del Nevrux in tutto il regno di Persia, raccontandole tutti gli spettacoli degni della sua curiosità che avevano divertito la corte di Persia e quasi tutta la città di Shiraz. Poi le parlò del cavallo incantato e glielo descrisse. Il racconto delle meraviglie compiute dall’indiano in sella al suo cavallo, davanti a una così celebre assemblea, convinse la principessa che al mondo non si poteva immaginare niente di più sorprendente in questo genere.

“Principessa,” continuò il principe di Persia, “voi capite bene che il re mio padre, che non risparmia nessuna spesa per accrescere i suoi tesori con le cose più rare e più curiose delle quali sente parlare, deve essere stato acceso da un gran desiderio di aggiungervi un cavallo di questa natura. Così fu infatti, e non esitò a chiedere all’indiano quanto lo valutasse. La risposta dell’indiano fu delle più stravaganti. Egli disse di non aver comprato il cavallo, ma di averlo avuto in cambio della sua unica figlia; e, poiché non poteva privarsene se non alla stessa condizione, poteva cederglielo solo sposando, con il suo consenso, la principessa mia sorella. La folla dei cortigiani che circondavano il trono del re mio padre, sentendo questa stravagante proposta, lo derise ad alta voce; e, quanto a me, fui preso da un’indignazione così grande che mi fu impossibile nasconderla, tanto più che mi accorsi che il re mio padre esitava su quanto doveva rispondere. Infatti, a un certo punto, mi sembrò che egli stesse per accordare all’indiano quanto questi chiedeva se non gli avessi fatto notare vivacemente il torto che stava per commettere contro la propria gloria. La mia rimostranza non fu tuttavia capace di fargli abbandonare completamente il disegno di sacrificare la principessa mia sorella a un uomo così spregevole. Egli pensò che se fossi riuscito a capire come lui quanto il cavallo valesse per la sua singolarità, avrei forse condiviso la sua opinione. Con questo intento, volle che io lo esaminassi, lo montassi e lo provassi personalmente. Per assecondare il re mio padre, salii sul cavallo e, appena mi fui sistemato in sella, dato che avevo visto l’indiano toccare un cavicchio e girarlo per farsi sollevare con il cavallo, senza chiedergli altre istruzioni feci lo stesso, e immediatamente fui sollevato in aria con una velocità molto superiore a quella di una freccia scoccata dall’arciere più robusto e più esperto. In poco tempo mi trovai tanto lontano dalla terra, che non distinguevo più nessun oggetto; e mi sembrava di avvicinarmi tanto alla volta celeste, che temetti di andarmici a rompere la testa. Per il rapido movimento che mi trasportava, restai a lungo come fuori di me e incapace di fare attenzione al pericolo presente al quale ero esposto in diversi modi. Volli girare in senso inverso il cavicchio che avevo girato prima ma non vidi l’effetto che mi ero aspettato. Il cavallo continuò a trasportarmi verso il cielo e in questo modo ad allontanarmi sempre più dalla terra. Infine mi accorsi di un altro cavicchio, lo girai e il cavallo invece di continuare a salire cominciò a scendere verso terra: e, poiché mi trovai in breve tempo immerso nelle tenebre della notte e non era possibile manovrare il cavallo in modo da farmi deporre in un posto dove non corressi pericolo, tenni la briglia sempre nella stessa posizione e mi rimisi alla volontà di Dio su quanto la sorte mi avrebbe riservato. Infine il cavallo si posò, scesi a terra e, esaminando il posto, mi trovai sulla terrazza di questo palazzo. La porta della scala era socchiusa; scesi senza far rumore e vidi una porta aperta dalla quale usciva un pò di luce. Sporsi la testa; e, appena ebbi visto degli eunuchi addormentati e una forte luce attraverso una portiera, l’urgente necessità in cui mi trovavo, nonostante l’inevitabile pericolo che mi avrebbe minacciato se gli eunuchi si fossero svegliati, mi diede l’ardire, per non dire la temerarietà, di avanzare leggermente e di aprire la portiera. Non c’è bisogno di dirvi il resto,” aggiunse il principe; “lo sapete. Mi resta solo da ringraziarvi per la vostra bontà e la vostra generosità, e supplicarvi di dirmi come posso dimostrarvi la mia riconoscenza per un così grande piacere, in modo che voi ne siate soddisfatta. Poiché, secondo il diritto degli uomini, io sono già vostro schiavo e non posso quindi offrirvi la mia persona, mi resta solo il mio cuore. Che dico, principessa! Non è più mio questo cuore; voi me lo avete rapito con le vostre grazie tanto che, ben lontano dal richiedervelo, ve lo abbandono. Perciò, permettetemi di dichiararvi che vi riconosco padrona del mio cuore oltre che delle mie azioni.”

Il principe Firuz Shah pronunciò queste ultime parole con un tono e un’aria tali da non permettere alla principessa del Bengala di dubitare un solo istante dell’effetto che, come lei si era aspettata, le sue grazie avevano prodotto. Non fu scandalizzata dalla dichiarazione del principe di Persia considerandola troppo precipitosa. Il rossore che le si diffuse sul viso servì solo a renderla più bella e più desiderabile agli occhi del principe. Quando il principe Firuz Shah ebbe finito di parlare: “Principe,” rispose la principessa del Bengala, “se mi avete fatto un immenso piacere raccontandomi le cose sorprendenti e meravigliose che ora ho ascoltato, non posso d’altra parte immaginarvi senza terrore nella più alta regione dell’aria; e anche se, mentre parlavate, io avevo la gioia di vedervi sano e salvo davanti a me, tuttavia ho continuato lo stesso a temere per voi finché non mi avete detto che il cavallo dell’indiano era venuto a posarsi così felicemente sulla terrazza del mio palazzo. Egli avrebbe potuto fermarsi in mille altri posti: ma sono felice che il caso mi abbia dato la preferenza e l’occasione di farvi conoscere che lo stesso caso poteva portarvi altrove, ma non potevate essere accolto meglio e con maggior piacere. Perciò, principe, mi giudicherei grandemente offesa se credessi che mi avete espresso seriamente il pensiero di essere mio schiavo, e non lo attribuissi alla vostra cortesia piuttosto che a un sentimento sincero; e l’accoglienza che vi feci ieri deve farvi sufficientemente capire che qui non siete meno libero che alla corte di Persia. Quanto al vostro cuore,” aggiunse la principessa del Bengala in un chiaro tono di rifiuto, “poiché sono ben convinta che non avete aspettato fino ad ora per disporne e dovete aver già scelto una principessa che lo merita, mi dispiacerebbe molto darvi l’occasione di esserle infedele.” Il principe Firuz Shah volle protestare alla principessa del Bengala che era venuto dalla Persia padrone del proprio cuore; ma, mentre stava per parlare, una delle ancelle della principessa, che aveva quest’ordine, venne ad avvertire che il pranzo era pronto. Questa interruzione evitò al principe e alla principessa una spiegazione che li avrebbe imbarazzati entrambi e di cui non avevano bisogno. La principessa del Bengala restò pienamente convinta della sincerità del principe di Persia; e, quanto al principe, anche se la principessa non si era spiegata, egli ritenne tuttavia, dalle sue parole e dal modo favorevole in cui lo aveva ascoltato, che aveva motivo di considerarsi contento della sua fortuna.

L’ancella della principessa teneva la portiera aperta e la principessa del Bengala, alzandosi, disse al principe di Persia, che seguì il suo esempio, di non avere l’abitudine di pranzare così presto; ma, non dubitando che gli avessero fatto fare una cattiva cena, aveva dato l’ordine di servire il pranzo più presto del solito, e, dicendo queste parole, lo portò in un magnifico salone, dove la tavola era preparata e imbandita con una grande quantità di cibi prelibati. Si misero a tavola e, appena si furono seduti, un folto gruppo di schiave della principessa, belle e riccamente abbigliate, iniziarono un piacevole concerto vocale e strumentale, che continuò per tutta la durata del pranzo. Poiché il concerto era molto dolce ed eseguito in modo da non impedire al principe e alla principessa di conversare, una buona parte del pranzo passò mentre la principessa serviva il principe invitandolo a mangiare, e il principe serviva a sua volta alla principessa quello che gli sembrava migliore per prevenirla con modi e parole che gli attiravano nuove cortesie e nuovi complimenti da parte di lei; e, in questo reciproco scambio di gentilezze e di attenzioni, l’amore fece più progressi in entrambi di quanto ne avrebbe fatto in un colloquio prestabilito. Infine i due giovani si alzarono da tavola. La principessa portò il principe di Persia in un salone grande e magnifico per la sua architettura e per l’oro e il turchino che l’ornavano con simmetria, e riccamente arredato. Si sedettero sul divano da cui si godeva una bellissima vista del giardino del palazzo, che suscitò l’ammirazione del principe Firuz Shah per la varietà dei fiori, degli arbusti e degli alberi, molto diversi da quelli persiani, ma ugualmente belli. Cogliendo questa occasione per riprendere la conversazione con la principessa, il principe disse: “Principessa, avevo creduto che al mondo soltanto la Persia avesse palazzi splendidi e mirabili giardini, degni della maestà dei re: ma vedo che, dovunque vi siano grandi re, i re sanno farsi costruire abitazioni adatte alla loro grandezza e alla loro potenza; e, se pure c’è una differenza nel modo di costruire e nei particolari, esse si assomigliano per grandiosità e per magnificenza. “Principe,” rispose la principessa del Bengala, “poiché io non ho alcuna idea dei palazzi di Persia, non posso esprimere il mio giudizio sul paragone che voi ne fate con il mio; ma, per sincero che possiate essere, fatico a convincermi che esso sia giusto; permettetemi di credere che nel vostro giudizio c’è una buona parte di compiacenza. Non voglio tuttavia disprezzare il mio palazzo davanti a voi: siete troppo buon conoscitore e avete troppo buon gusto da non giudicare con verità e saggezza, ma vi assicuro che a me sembra molto mediocre quando lo paragono a quello del re mio padre, che lo supera infinitamente in grandezza, in bellezza e in ricchezza. Mi direte voi stesso che cosa ne pensate quando lo avrete visto. Poiché il caso vi ha portato fino alla capitale di questo regno, sono sicura che vorrete vederla e salutare il re mio padre, affinché egli vi renda gli onori dovuti a un principe del vostro grado e del vostro merito.” Facendo nascere nel principe di Persia la curiosità di vedere il palazzo reale del Bengala e di salutare il re suo padre, la principessa sperava che, se ci fosse riuscita, suo padre, vedendo un principe così ben fatto, così saggio e così compito in ogni cosa, si sarebbe forse potuto decidere a proporgli di unire le loro due famiglie, offrendogli di concedergli lei in sposa; e, in questo modo, essendo ben convinta di non essere indifferente al principe e che il principe non avrebbe rifiutato questa proposta, sperava di vedere esauditi i suoi desideri, mantenendo il decoro adeguato a una principessa che voglia sembrare sottomessa alla volontà del re suo padre. Ma il principe di Persia non le rispose su questo punto conformemente a quanto ella aveva pensato. “Principessa,” riprese il principe, “sono pienamente convinto dopo quanto mi dite che il palazzo del re del Bengala merita che voi lo preferiate al vostro. Quanto alla proposta che mi fate di rendere i miei rispetti al re vostro padre, sarebbe per me non solo un piacere, ma anche un grande onore poterlo fare. Ma, principessa,” aggiunse, “faccio giudicare a voi stessa: mi consigliereste di presentarmi davanti alla maestà di un così grande sovrano come un avventuriero senza seguito e senza un corteo degno del mio grado?” “Principe,” replicò la principessa, “questo non vi deve preoccupare; basta che lo vogliate, non vi mancherà il denaro per formare il corteo che vorrete: ve lo fornirò io. Vivono qui numerosi negozianti della vostra nazione, potete sceglierne quanti ne giudicate opportuni per formarvi un seguito che vi farà onore.” Il principe Firuz Shah capì l’intenzione della principessa del Bengala; e il tangibile segno, che in questo modo lei gli dava del suo amore, accrebbe la passione che già nutriva per lei; ma nonostante la sua intensità, essa non gli fece dimenticare il suo dovere. Replicò senza esitare: “Principessa, accetterei volentieri la cortese offerta che mi fate, e non ho parole sufficienti per dimostrarvi la mia riconoscenza, se l’inquietudine in cui deve essere il re mio padre per la mia scomparsa non me lo impedisse assolutamente. Sarei indegno della bontà e dell’affetto che egli ha sempre avuto per me, se non tornassi al più presto e non andassi da lui per dissiparla. Io lo conosco; e, mentre io ho la felicità di godere la compagnia di una principessa così affascinante, sono sicuro che è in preda a un mortale dolore e che ha perso la speranza di rivedermi. Spero che mi rendiate la giustizia di capire che non posso, senza commettere un’ingratitudine e anche un delitto dispensandomi dall’andare a rendergli la vita, che un ritorno rimandato per troppo tempo potrebbe fargli perdere. Fatto questo, principessa,” continuò il principe di Persia, se mi giudicate degno di aspirare alla felicità di diventare vostro sposo, poiché il re mio padre mi ha sempre dichiarato di lasciarmi libero di scegliere la sposa che avrei voluto, non avrò difficoltà a ottenere da lui il permesso di ritornare qui, non come uno sconosciuto, ma come principe a chiedere da parte sua al re del Bengala di imparentarsi con lui per mezzo del nostro matrimonio. Sono convinto che me lo chiederà lui stesso, quando lo avrò informato della generosità con la quale mi avete accolto nella mia disgrazia.”

- Fiaberella
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