La fiaba dell'anello incantato

n mercante iniziò suo figlio alla vita donandogli trecento rupie e invitandolo ad andare in un altro paese a tentare la fortuna nel commercio. Il figlio prese i soldi e partì. Era arrivato poco lontano quando incontrò dei pastori che litigavano per un cane che alcuni di loro volevano uccidere. “Per favore, non uccidete questo cane” li supplicò il giovane dal cuore tenero. “Vi darò cento rupie per lui.” Allora, naturalmente, l’affare fu concluso e quel folle tizio si prese il cane e continuò il suo viaggio. Successivamente, incontrò alcune persone che si stavano battendo per un gatto. Alcune di loro lo volevano uccidere, altre no. “Oh, per favore, non uccidetelo!” disse il giovane. “Vi darò cento rupie per lui.” Come è ovvio, essi gli diedero subito il gatto e si presero i soldi. Il giovane proseguì finché raggiunse un villaggio dove della gente bisticciava per un serpente che era stato appena catturato. Alcuni lo volevano uccidere, mentre altri si opponevano. “Per favore, non uccidete il serpente” disse loro il giovane. “Per lui vi darò cento rupie.” Naturalmente quelle persone acconsentirono e ne furono deliziate.

Che pazzo era quel tizio! Cosa avrebbe fatto ora che aveva finito tutti i soldi? Cos’altro oltre a tornare dal padre? Di conseguenza tornò a casa.

“Che stupido che sei! Che scapestrato!” esclamò suo padre quando ebbe sentito come suo figlio aveva sprecato tutto il denaro che gli aveva dato. “Vai a vivere nelle stalle e pentiti della tua stupidità. Non entrerai più nella mia casa.”

Così il giovane andò a vivere nelle stalle. Il suo letto era erba raccolta per il bestiame e i suoi compagni erano il cane, il gatto e il serpente che aveva acquistato a così caro prezzo. Queste creature si affezionarono molto a lui, lo seguivano durante il giorno e dormivano con lui la notte; il gatto aveva l’abitudine di dormire ai suoi piedi, il cane dietro la sua testa e il serpente sopra il suo corpo, col capo penzolante da una parte e la coda dall’altra.

Un giorno il serpente durante una conversazione disse al suo padrone: “Sono il figlio del Raja Indrasha. Quella volta, quando ero uscito dalla tana per prendere un po’ d’aria, alcune persone mi avevano catturato e mi avrebbero ucciso se tu non fossi arrivato opportunamente a salvarmi. Non so come potrò mai ripagarti per la grande gentilezza che mi hai dimostrato. Vorrei che conoscessi mio padre! Sarebbe così felice di vedere il salvatore di suo figlio!”

“Dove vive? Mi piacerebbe vederlo, se possibile” disse il giovane uomo.

“Ben detto!” continuò il serpente. “Vedi la montagna laggiù? Ai suoi piedi si trova una sorgente sacra. Se verrai con me e ti tufferai in quella sorgente, raggiungeremo il regno di mio padre. Oh, come sarà felice di vederti! Ti ricompenserà, anche. Ma come potrebbe riuscirci? Ah, ecco, potrebbe esserci qualcosa che ti piacerebbe ricevere. Se ti chiedesse cosa vuoi, dovresti rispondere ‘l’anello sulla tua mano destra e i famosi pentola e cucchiaio che possiedi’. Con quegli oggetti in tuo possesso, non avresti mai bisogno di nulla, perché l’anello è tale che a un uomo sarebbe sufficiente parlare e immediatamente gli verrebbe fornita una magione sontuosamente arredata, mentre la pentola e il cucchiaio ti darebbero tutti i cibi più rari e deliziosi.”

Seguito dai tre compagni, l’uomo raggiunse la sorgente e vi saltò dentro, secondo quanto detto dal serpente. “O padrone!” esclamarono il gatto e il cane, quando videro cosa stava per fare. “Cosa faremo? Dove andremo?”

“Aspettatemi qui” replicò. “Non andrò lontano e non starò via a lungo.” Dicendo ciò, si immerse nell’acqua e sparì dalla loro vista.

“Ora cosa faremo?” disse il cane al gatto.

“Rimarremo qui” rispose il gatto “come il padrone ha ordinato. Non ti preoccupare per il cibo. Andrò nelle case della gente e ne prenderò per entrambi.” E così fece il gatto ed entrambi vissero comodamente finché il loro padrone non ritornò e si riunì a loro.

Il giovane e il serpente avevano raggiunto la loro destinazione in piena sicurezza e la notizia del loro arrivo era arrivata al Raja. Sua Maestà comandò al figlio e allo straniero di presentarsi davanti a lui, ma il serpente rifiutò dicendo che non poteva presentarsi davanti al padre finché non fosse stato liberato da quello straniero che lo aveva salvato dalla più terribile delle morti e di cui si sentiva ormai schiavo per riconoscenza. Allora il Raja andò ad abbracciare suo figlio e salutò lo straniero accogliendolo nei suoi domini. Il giovane vi rimase alcuni giorni, durante i quali ricevette l’anello che il Raja portava alla mano destra, e la pentola e il cucchiaio, come segno della gratitudine di Sua Maestà per avergli riconsegnato suo figlio. Allora il giovane ritornò da dove era venuto. Raggiunta la superficie della sorgente, trovò i suoi amici, il cane e il gatto, ad aspettarlo. Si raccontarono cosa era accaduto dall’ultima volta che si erano visti e ne furono molto felici. Dopo di che, camminarono insieme lungo la riva del fiume, dove decisero di provare i poteri dell’anello incantato e della pentola e del cucchiaio.

Il figlio del mercante parlò all’anello e immediatamente una bella casa e un’adorabile principessa dai capelli color dell’oro apparvero. Parlò anche alla pentola e al cucchiaio e i più deliziosi piatti di cibo furono forniti loro. Così sposò la principessa e vissero felicemente per molti anni finché una mattina la principessa, mentre si stava acconciando i capelli, ne pose una ciocca in un pezzo di canna vuota e la gettò nel fiume che scorreva sotto la sua finestra. La canna galleggiò sull’acqua per molte miglia e alla fine fu raccolta dal principe di quel paese che l’aprì e vide i capelli dorati. Dopo il ritrovamento, il principe corse a palazzo, si chiuse nella sua stanza e non volle più lasciarla. Si era disperatamente innamorato della donna i cui capelli aveva raccolto e si rifiutò di mangiare, bere, dormire o muoversi fino a quando non l’avessero portata da lui. Il re, suo padre, era molto preoccupato per quella faccenda e non sapeva cosa fare. Temeva che suo figlio potesse morire e lo lasciasse senza un erede. Infine, decise di chiedere consiglio a sua zia che era un’orchessa. L’anziana acconsentì ad aiutarlo e gli disse di non essere ansioso perché si sentiva certa di riuscire a far divenire la bella donna moglie di suo figlio.

Assunse la forma di un’ape e se ne andò ronzando, ronzando, ronzando. Il suo sviluppato senso dell’olfatto presto la portò dalla bella principessa alla quale si mostrò come una vecchia che teneva in una mano un bastone per sorreggersi. Si presentò alla principessa e disse: “Sono tua zia che non hai mai visto prima perché ho lasciato il paese subito dopo la tua nascita.” Abbracciò e baciò la principessa in modo da dare forza alle sue parole. La bella principessa si fece così convincere. Ricambiò l’abbraccio dell’orchessa e la invitò a restare nella sua casa quanto avesse voluto, e la trattò con tali onori e attenzioni che l’orchessa pensò tra sé e sé: “Riuscirò presto nel mio compito.” Quando fu nella casa da tre giorni, cominciò a parlare alla principessa dell’anello incantato, consigliandole di tenerlo lei al posto del marito, perché quest’ultimo era sempre fuori a caccia o in altre spedizioni simili e avrebbe potuto perderlo. Di conseguenza la bella principessa chiese al marito l’anello e lui prontamente glielo diede.

L’orchessa aspettò un altro giorno prima di chiederle di vedere il prezioso anello. Non sospettando nulla, la bella principessa lo fece. Quando l’orchessa si fu impossessata dell’anello, riassunse la forma di ape e volò via verso il palazzo dove il principe giaceva quasi in punto di morte. “Alzati e sii felice! Non ti dispiacere più” gli disse. “La donna che desideri apparirà a tua richiesta. Vedi, questo è l’anello incantato che la condurrà innanzi a te.” Il principe quasi impazzì di gioia quando sentì quelle parole e fu tanto desideroso di vedere la bella principessa che immediatamente parlò all’anello e la casa con la sua occupante discese nel bel mezzo del giardino del palazzo. Subito egli entrò nell’edificio e rivelò alla principessa il suo intenso amore, supplicandola di divenire sua moglie. Non vedendo via d’uscita da quella situazione, lei acconsentì, a condizione che aspettasse un mese.

Nel frattempo il figlio del mercante era tornato dalla battuta di caccia ed era rimasto sconvolto nel non trovare la sua casa e la moglie. Il posto era tornato come prima che provasse l’anello incantato che il Raja Indrasha gli aveva dato. Si sedette e decise di togliersi la vita. In quel momento comparvero il cane e il gatto. Erano fuggiti e si erano nascosti quando avevano visto la casa e il resto scomparire. “O padrone!” gli dissero. “Ferma la tua mano. Il tuo dolore è grande, ma vi si può porre rimedio. Concedici un mese e proveremo a recuperare tua moglie e la casa.”

“Andate” disse lui “e possa Dio aiutare i vostri sforzi. Riportatemi mia moglie e continuerò a vivere.”

Così il cane e il gatto si lanciarono in una corsa e non si fermarono finché non ebbero raggiunto il luogo dove la loro padrona e la casa erano state portate. “Potremmo avere qualche difficoltà” disse il gatto. “Guarda, il principe ha preso per sé la moglie e la casa del nostro signore. Tu rimani qui. Io andrò alla casa per vederla.” Così il cane si sedette e il gatto scalò la parete fino alla finestra della stanza in cui si trovava la bella principessa ed entrò. La principessa riconobbe il gatto e lo informò di tutto ciò che le era accaduto da quando li aveva lasciati.

“Non c’è modo di fuggire dalle mani di queste persone?” gli chiese.

“Sì” rispose il gatto. “Se mi dici dove si trova l’anello incantato.”

“L’anello è nello stomaco dell’orchessa.”

“Va bene” disse il gatto. “Lo recupererò. Una volta che l’avremo preso, tutto sarà di nuovo nostro.” Allora il gatto scese lungo il muro della casa e si sdraiò vicino la tana di un topo, facendo credere di essere morto. A quel tempo un grande matrimonio era in procinto di svolgersi nella comunità dei ratti e tutti i ratti del vicinato si erano riuniti in quel particolare buco davanti al quale si era sdraiato il gatto. Il figlio maggiore del re dei ratti si stava per sposare. Il gatto lo sapeva e subito gli era venuta l’idea di catturare lo sposo e obbligarlo a fornirgli l’aiuto che gli serviva. Di conseguenza, quando il corteo uscì dalla tana urlante e saltante per l’occasione, immediatamente individuò lo sposo e gli balzò addosso. “Oh! Lasciami andare, lasciami andare” pianse il topo terrorizzato. “Oh! Lascialo andare” gridò tutta la compagnia. “E’ il giorno del suo matrimonio.”

“No, no” replicò il gatto. “Non prima che voi abbiate fatto qualcosa per me. Ascoltate. L’orchessa che vive in quella casa, con il principe e sua moglie, ha ingoiato un anello che io desidero tanto. Se lo recupererete per me, permetterò al ratto di andarsene illeso. Se non lo farete, allora il vostro principe morirà tra le mie fauci.”

“Molto bene, lo faremo” dissero tutti loro. “Se non recupereremo l’anello per te, potrai divorarci tutti.”

Questa era una risposta audace. Comunque, compirono l’impresa. A mezzanotte, quando l’orchessa era profondamente addormentata, uno dei ratti si accostò al letto, saltò sulla sua faccia e infilò la coda nella sua gola; al che l’orchessa tossì violentemente e l’anello cadde fuori e rotolò sul pavimento. Immediatamente il ratto afferrò il prezioso oggetto e corse dal suo re, il quale ne fu molto felice e andò subito dal gatto che rilasciò suo figlio.

Non appena il gatto ebbe ricevuto l’anello, ritornò dal cane per andare a riferire al loro padrone le buone notizie. Tutto sembrava a posto ora. Dovevano solo dargli l’anello e lui avrebbe potuto parlarci. Così la casa e la bella principessa sarebbe tornate con loro e sarebbero stati felici come prima. “Come sarà contento il padrone!” pensarono e corsero tanto veloci quanto le loro zampe consentirono. Sulla strada dovevano però attraversare un ruscello. Il cane vi nuotò col gatto sulla sua schiena. In verità il cane era geloso del gatto, così gli chiese l’anello e minacciò di gettare il gatto in acqua se non glielo avesse consegnato, così lui dovette cederlo. Momento spiacevole, perché il cane subito lo lasciò cadere e un pesce lo ingoiò.

“Oh! Cosa farò ora? Cosa farò ora?” piagnucolò il cane.

“Quel che è fatto è fatto” rispose il gatto. “Dobbiamo provare a recuperarlo e se non ci riusciremo sarà meglio affogare in questo ruscello. Ho un piano. Andrai a uccidere un piccolo agnello e me lo porterai.

“D’accordo” disse il cane e subito corse via. Presto ritornò con un agnello morto e lo diede al gatto. Il gatto si infilò nel suo corpo e disse al cane di sistemarsi poco lontano e rimanere tranquillo. Non molto tempo dopo, un nadhar, un uccello il cui sguardo può rompere le ossa di un pesce, sorvolò l’agnello e alla fine vi si gettò sopra per portarlo via. Al che il gatto venne fuori e ghermì l’uccello, minacciando di ucciderlo se non avesse recuperato l’anello perduto. Il nadhar lo promise prontamente e volò dal re dei pesci ordinandogli di porgere le sue scuse e di restituire l’anello. Il re dei pesci lo fece e l’anello fu ritrovato e riportato al gatto.

“Vieni ora, ho l’anello” disse il gatto al cane.

“No, non verrò” si impuntò il cane “a meno che tu non mi lasci tenere l’anello. Posso portarlo al posto tuo. Lasciamelo tenere o ti ucciderò.” Così il gatto fu obbligato a cedergli nuovamente l’anello. Lo sbadato cane presto lo lasciò cadere ancora. Questa volta fu raccolto da un nibbio.

“Vedi, vedi, è andato su quell’albero laggiù!” esclamò il gatto.

“Oh! Oh! Cosa farò ora?” pianse il cane.

“Tu, stupida bestia! Lo sapevo che sarebbe andata a finire così.” disse il gatto. “Ma smettila di abbaiare o farai fuggire quell’uccello in qualche luogo dove non riusciremo a rintracciarlo.”

Il gatto aspettò finché non fu quasi buio e poi scalò l’albero, uccise il nibbio e recuperò l’anello. “Vieni con me” ordinò al cane quando fu tornato a terra. “Dobbiamo affrettarci ora, siamo in ritardo. Il nostro padrone starà morendo di dolore e d’incertezza. Muoviti.”

Il cane, vergognandosi profondamente di se stesso, domandò il perdono del gatto per tutti i problemi che gli aveva creato. Ebbe paura di chiedergli l’anello per la terza volta, così entrambi raggiunsero il loro padrone sofferente e gli diedero il prezioso anello. In un istante il suo dolore mutò in gioia. Parlò all’anello e la casa e la sua bella moglie riapparvero, cosicché tutti vissero felici e contenti.

- Fiaberella
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