La fiaba di Aladino e della lampada magica-Parte III

Un giorno, mentre passeggiava in uno dei quartieri della città, Aladino sentì proclamare a voce alta l’ordine del sultano di sbarrare le botteghe e le porte delle case e di rinchiudersi tutti in casa finché la principessa Badr-al-Budur, figlia del sultano, non fosse passata per andare al bagno e non ne fosse ritornata. Il bando pubblico fece nascere in Aladino la curiosità di vedere la principessa senza velo, ma poteva farlo solo entrando in una casa di conoscenti e attraverso la persiana; il che non lo accontentava perché la principessa, secondo la tradizione, andando al bagno doveva portare un velo sul viso. Per prendersi questa soddisfazione architettò un piano che gli riuscì: andò a sistemarsi dietro la porta del bagno, disposta in modo tale che egli non avrebbe potuto non vederla in viso quando sarebbe arrivata. Aladino non aspettò a lungo: la principessa apparve, e lui la vide arrivare attraverso una fessura abbastanza larga per vedere senza essere visto. Era accompagnata da una gran folla di schiave e di eunuchi, che le camminavano al fianco e che la seguivano. Quando arrivò a tre o quattro passi dalla porta del bagno, si tolse il velo che le copriva il viso e che la infastidiva molto, e, così facendo, diede modo ad Aladino di vederla, tanto più a suo agio,in quanto veniva diritta verso di lui. Fino a quel momento, Aladino non aveva visto altre donne a viso scoperto tranne sua madre, che era anziana e non era mai stata tanto bella da fargli immaginare che le altre donne fossero più belle. Certamente poteva avere sentito dire che ne esistevano di sorprendente bellezza, ma, per quante parole si usino per mettere in risalto il merito di una bellezza, esse non fanno mai l’impressione causata dalla bellezza stessa. Quando Aladino ebbe visto la principessa Badr-al-Budur, perse l’idea che tutte le donne dovessero assomigliare all’incirca a sua madre, i suoi sentimenti furono ben diversi, e il suo cuore non poté rifiutare tutta la sua inclinazione per la creatura che lo aveva affascinato. Infatti la principessa era la più bella bruna che si possa vedere al mondo: aveva gli occhi grandi, a fior di testa, vivaci e brillanti, lo sguardo dolce e modesto, il naso di giusta proporzione e senza difetti, la bocca piccola, le labbra vermiglie e piene d’incanto per la loro gradevole simmetria, in una parola, i lineamenti del suo viso erano di una perfetta regolarità. Non bisogna dunque stupirsi se Aladino fu abbagliato e uscì quasi di sé vedendo riunite tante meraviglie che gli erano sconosciute. Oltre tutte queste perfezioni, la principessa aveva anche una bella statura, un’aria e un portamento maestosi, che, solo a vederla, attiravano il rispetto che le era dovuto. Quando la principessa fu entrata nel bagno, Aladino restò per un po’ turbato e come in estasi, tracciando e imprimendosi profondamente nella memoria l’immagine di una creatura di cui era affascinato e penetrato fino in fondo al cuore. Infine tornò in sé; e, considerando che la principessa era passata e sarebbe stato quindi inutile restare dov’era per rivederla mentre usciva dal bagno, poiché lei gli avrebbe dato la schiena e sarebbe stata velata, prese la decisione di abbandonare il suo posto e di ritirarsi.

Aladino, rientrando a casa, non riuscì a nascondere il suo turbamento e la sua inquietudine tanto bene da evitare che la madre se ne accorgesse. Lei rimase stupita vedendolo così triste e trasognato contrariamente al suo solito. Gli chiese se gli fosse capitato qualcosa o se non si sentisse bene. Ma Aladino non le rispose proprio, e si sedette negligentemente sul sofà, dove restò nella stessa posizione, sempre intento a ricordare l’affascinante immagine della principessa Badr-al-Budur. Sua madre, che preparava la cena, non insistette oltre. Quando la cena fu pronta, la servì accanto a lui, sul divano, e si mise a tavola, ma, accorgendosi che suo figlio non ci pensava per niente, lo sollecitò a mangiare, e solo molto a malincuore egli cambiò atteggiamento. Mangiò molto meno del solito, con gli occhi sempre bassi e in un silenzio così profondo che alla madre non fu possibile tirargli fuori la minima parola, nonostante tutte le domande che gli rivolse per cercare di conoscere la causa di un cambiamento così straordinario. Dopo cena, cercò di nuovo di sapere la ragione di tanta malinconia, ma non ottenne niente, e Aladino decise di andare a dormire piuttosto che dare alla madre la minima soddisfazione su quel punto. Senza dire in che modo Aladino, invaghito della bellezza e delle grazie della principessa Badr-al-Budur, passò la notte, noteremo solo che, il giorno dopo, mentre era seduto sul divano, di fronte alla madre intenta a filare del cotone come al solito, le parlò in così: “Madre mia,” le disse, “rompo il silenzio che ho mantenuto da ieri, quando sono tornato dalla città: esso vi ha preoccupato e me ne sono accorto. Non ero malato, come mi è sembrato che voi credeste, e non lo sono ancora ma non posso dirvi quello che sentivo e quello che non smetto ancora di sentire: è qualcosa di peggio di una malattia. Non so bene che male sia; ma non dubito che quanto sentirete ve lo farà capire. In questo quartiere non si è saputo,” continuò Aladino, “e perciò voi non avete potuto saperlo,che ieri la principessa Badr-al-Budur, figlia del sultano, nel pomeriggio si recò al bagno. Seppi questa notizia passeggiando in città. Diedero l’ordine di chiudere le botteghe e di ritirarsi ognuno a casa propria, per rendere alla principessa l’onore che le è dovuto, e sgombrare la strada lungo le vie in cui sarebbe dovuta passare. Poiché non ero lontano dal bagno, la curiosità di vederla a viso scoperto mi fece nascere l’idea di andare a mettermi dietro la porta del bagno, pensando che poteva succedere che lei si togliesse il velo prima di entrarvi. Voi conoscete la posizione della porta, e voi stessa siete in grado di capire che potevo vederla a mio agio, se fosse successo quello che avevo immaginato. Infatti, nell’entrare, lei si tolse il velo, ed ebbi la fortuna di vedere l’amabile principessa con la più grande soddisfazione del mondo. Questo,madre mia,è il vero motivo dello stato in cui mi vedeste ieri quando rientrai, e la causa del silenzio che ho mantenuto fino ad ora. Amo la principessa di un amore la cui violenza è tale che non saprei esprimervela; e, poiché la mia passione viva e ardente, aumenta incessantemente, sento che essa non potrà essere soddisfatta se non con il possesso dell’amabile principessa Badr-al-Budur, il che mi ha spinto a prendere la decisione di farla chiedere in moglie al sultano.”

La madre di Aladino aveva ascoltato il discorso del figlio con molta attenzione fino a queste ultime parole, ma, quando ebbe sentito che aveva intenzione di far chiedere la principessa Badr-al-Budur in moglie, non poté fare a meno di interromperlo con una sonora risata. Aladino voleva continuare; ma, interrompendolo ancora, lei gli disse: “Eh! figlio mio, a che pensate? Dovete aver perso la testa per farmi un simile discorso!” “Mamma,” riprese Aladino, “posso assicurarvi che non ho perso il senno, sono completamente in me. Ho previsto le accuse di follia e di stravaganza che mi fate, e quelle che potreste farmi; ma tutto questo non mi impedirà di dirvi ancora una volta che ho preso la decisione di far chiedere la principessa Badr-al-Budur in moglie al sultano.” “In verità, figlio mio,” replicò la madre molto seriamente,non posso impedirmi di dirvi che voi siete completamente uscito di senno; e, anche se voleste mettere in atto la vostra decisione, non vedo da chi osereste far rivolgere questa domanda al sultano.” “Proprio da voi,” replicò subito il figlio senza esitare. “Da me!” esclamò la madre con un’aria di stupore e di sbalordimento, “al sultano! Ah! mi guarderò bene dall’impegnarmi in una simile impresa! E chi siete voi figlio mio,” continuò, “per avere il coraggio di pensare alla figlia del vostro sultano? Avete dimenticato di essere figlio di uno dei più modesti sarti della sua capitale, e di una madre i cui antenati non sono di origine più elevata? Sapete che i sultani non si degnano di dare le loro figlie in moglie nemmeno a dei figli di sultani che non hanno la speranza di regnare un giorno come loro?” “Madre mia,” replicò Aladino, “vi ho già detto che ho previsto tutto questo che mi state dicendo, e anche tutto quello che potrete aggiungervi: né i vostri discorsi né le vostre rimostranze mi faranno cambiare idea. Vi ho già detto che farò chiedere in moglie la principessa da voi: è una grazia che vi chiedo con tutto il rispetto che vi devo, e vi supplico di non negarmela, a meno che non preferiate vedermi morire piuttosto che darmi la vita per la seconda volta.” La madre di Aladino fu molto imbarazzata vedendo con quale ostinazione il figlio insisteva in un progetto così privo di buon senso. “Figlio mio,” gli disse ancora, “io sono vostra madre, e come una buona madre che vi ha messo al mondo, non c’è niente di ragionevole e di adatto al mio stato e al vostro che io non sia pronta a fare per amor vostro. Se si trattasse di parlare del vostro matrimonio con la figlia di uno dei nostri vicini, di condizione simile alla nostra o quasi, non tralascerei niente e mi adopererei volentieri in tutto ciò che fosse in mio potere; e, anche in questo caso, per riuscirvi, dovreste avere dei beni o qualche rendita, o conoscere un mestiere. Quando la povera gente come noi vuole sposarsi, deve pensare prima di tutto ad avere il necessario per vivere. Ma, senza pensare all’oscurità della vostra origine, al poco merito e ai pochi beni che avete, voi spiccate il volo fino al più alto gradino della fortuna, e la vostra pretesa è solo quella di voler chiedere in moglie e di sposare la figlia del vostro sovrano, al quale basta dire una parola precipitarvi e annientarvi. Lascio da parte quello che vi riguarda: tocca a voi fare le riflessioni necessarie, se avete un po’ di buon senso. Io mi fermo a quello che mi riguarda. Come è vi è potuta venire in mente l’idea così straordinaria di chiedermi di andare dal sultano a proporgli di darvi in moglie la principessa sua figlia? Supponiamo che io abbia, non dico il coraggio, ma la sfrontatezza di andare a presentarmi davanti a Sua Maestà per fargli una domanda così stravagante; a chi mi rivolgerò per essere introdotta? Credete forse che il primo a cui ne parlerò non mi da folle e non mi scaccerà indegnamente come meriterei? Supponiamo ancora che non ci siano difficoltà per presentarsi all’udienza del sultano; so che non ce ne sono quando ci si presenta a lui per chiedere giustizia, ed egli la rende volentieri ai suoi sudditi quando gliela chiedono. So anche che quando ci si presenta a lui per chiedergli una grazia, egli l’accorda con piacere, quando vede essa è meritata e se ne è degni. Ma questo è il caso vostro? E credete di aver meritato la grazia che volete farmi chiedere per voi? Ne siete degno? Che cosa avete fatto per il vostro principe o per la vostra patria, e in che vi siete distinto? Se voi non avete fatto niente per meritare una grazia tanto grande e, d’altronde, non ne siete degno, con quale coraggio potrò io chiederla? Come potrei soltanto aprire la bocca per proporla al sultano? La sua presenza così maestosa e lo splendore della sua corte mi chiuderebbero subito la bocca, a me che tremavo davanti al defunto mio marito, vostro padre, quando dovevo chiedergli la minima cosa. C’è un’altra ragione, figlio mio, alla quale non pensate: sapete che non ci si presenta davanti ai nostri sultani senza portare un dono, quando si deve chiedere loro qualche grazia. I doni danno almeno questo vantaggio: che se viene rifiutata la grazia, per una ragione o per un’altra, almeno sono ascoltati senza ripugnanza la domanda e quello che la rivolge. Ma voi che regalo potete fare? E, anche se aveste qualche cosa che fosse degna della minima attenzione di un così grande sovrano, che proporzione ci sarebbe fra il vostro dono e la domanda che volete rivolgergli? Rientrate in voi e pensate che aspirate a una cosa che vi è impossibile ottenere.

Aladino ascoltò molto tranquillamente tutto quello che sua madre poté dirgli per cercare di dissuaderlo dal suo progetto; e, dopo aver riflettuto su tutti i punti della sua obiezione, cominciò a parlare e le disse: “Ammetto, mamma, che è una grande temerarietà osare di spingere le mie pretese tantolontano come faccio, e che sono stato molto sconsiderato a esigere da voi, con tanta foga e sollecitudine, che andaste a fare la mia proposta di matrimonio al sultano senza prima prendere le misure adatte a procurarvi un’udienza e un’accoglienza favorevoli. Ve ne chiedo perdono; ma in preda alla violenta passione mi possiede, non stupitevi se non ho pensato prima a tutto quello che può servire a procurarmi la pace che cerco. Amo la principessa di quanto voi possiate immaginare; o piuttosto l’adoro, e insisto sempre nel disegno di sposarla: è cosa stabilita e decisa nella mia mente. Vi sono grato di quanto mi avete manifestato, lo considero come il primo passo che deve procurarmi il successo che mi riprometto. Voi mi dite che la consuetudine vuole che non ci si presenti al sultano senza portare un dono, e che io non ho niente che sia degno di lui. Sono d’accordo per il dono, e vi confesso che non ci avevo pensato. Ma quanto al fatto, come voi dite, che io non abbia niente da potergli offrire, non credete, mamma, che quanto ho portato il giorno in cui fui salvato da un’inevitabile morte, nel modo che sapete, possa costituire un dono molto gradito per il sultano? Parlo di ciò che ho portato nelle due borse e nella cintura, e che voi e io avevamo scambiato per vetri colorati; ma, ora, mi sono disingannato, e vi comunico, mamma, che sono pietre di inestimabile valore, che si addicono soltanto ai grandi monarchi. Ne ho capito il valore frequentando le botteghe dei gioiellieri, e potete credermi sulla parola. Tutte quelle che ho visto dai nostri gioiellieri non sono paragonabili a quelle che noi abbiamo né per grandezza né per bellezza; e tuttavia essi le valutano a prezzi altissimi. In verità, noi ignoriamo il valore delle nostre. Comunque sia, da quanto posso giudicare con la mia poca esperienza, sono convinto che il dono potrà essere sicuramente molto gradito dal sultano. Voi avete un vaso di porcellana abbastanza grande e di forma molto adatta per contenerle; portatemelo e vediamo l’effetto che faranno le pietre quando ve le avremo disposte secondo i loro diversi colori.” La madre di Aladino portò il vaso e il figlio prese le pietre preziose dalle due borse e le sistemò nel vaso. L’effetto che fecero alla luce del sole, per la varietà dei loro colori, per il loro splendore e la loro lucentezza fu tale che la madre e il figlio ne restarono quasi abbagliati: ne furono sommamente stupiti perché le avevano viste, sia l’uno, sia l’altra solo alla luce di una lampada. E’ vero che Aladino le aveva viste ognuna sul suo albero, come frutti che dovevano formare spettacolo incantevole; ma, essendo ancora un ragazzo, aveva considerato quelle pietre preziose solo come pietre per giocare; e se ne era caricato soltanto a questo scopo senza averne cognizione. Dopo aver ammirato per un po’ la bellezza e lo splendore del dono, Aladino riprese a parlare. “Madre mia,” disse, “ora non vi opporrete a presentarvi al sultano, con il pretesto di non avere un dono da portargli;eccone uno, mi sembra, che vi farà ricevere con un’accoglienza delle più favorevoli.” Sebbene la madre di Aladino, nonostante la bellezza e lo splendore del dono, non lo considerasse di un valore così alto come lo stimava suo figlio, tuttavia pensò che potesse essere gradito, e capiva di non aver niente da obiettargli su questo punto; ma lei tornava sempre alla domanda che Aladino voleva farle rivolgere al sultano, con il favore del dono, ciò la preoccupava sempre molto. “Figlio mio,” gli diceva, “non fatico a credere che il dono avrà il suo effetto e che il sultano vorrà considerarmi con benevolenza, ma, quando dovrò rivolgergli la domanda che voi volete che gli faccia, sento bene che non ne avrò la forza e resterò senza parole. Perciò, non soltanto avrò perso il mio tempo, ma anche il dono che secondo voi, è di un valore così straordinario, e tornerò mortificata ad annunciarvi che siete stato frustrato nelle vostre speranze. Ve l’ho già detto, e siate sicuro che sarà così. Ma, “aggiunse, “ammesso che io mi faccia forza per sottomettermi alla vostra volontà e che abbia abbastanza coraggio da rivolgere la domanda che volete: certamente accadrà o che il sultano si burlerà di me e mi manderà via credendomi pazza, oppure andrà giustamente in collera, e io e voi ne saremo immancabilmente le vittime.” La madre di Aladino portò ancora diverse altre ragioni al figlio per cercare di fargli cambiare idea; ma le grazie della principessa Badr-al-Budur avevano fatto un’impressione troppo forte sul suo cuore perché si potesse distoglierlo dal suo progetto. Aladino insistette a esigere che la madre eseguisse quello che lui aveva deciso; e, sia per la tenerezza che lei aveva per lui sia per la paura che egli si abbandonasse a qualche spiacevole eccesso, vinse la propria ripugnanza e accondiscese alla volontà del figlio. Poiché era troppo tardi ed era ormai passato, per quel giorno, il tempo per andare a palazzo a presentarsi al sultano, la cosa fu rinviata al giorno seguente. La madre e il figlio non parlarono d’altro per tutto il resto della giornata, e Aladino ebbe gran cura di ispirare alla madre tutto ciò che gli venne in mente per confermarla nella decisione, che lei aveva finalmente accettato, di andare a presentarsi al sultano. Nonostante tutte le ragioni del figlio, la madre non riusciva a convincersi di poter riuscire mai in quest’impresa; e, per la verità, bisogna ammettere che aveva tutti i motivi per dubitarne. “Figlio mio,” disse ad Aladino, “se il sultano mi riceve favorevolmente, come spero per amore vostro, se ascolta con calma la proposta che voi volete che io gli faccia, ma se dopo una buona accoglienza vuole chiedermi dove sono i vostri beni, le vostre ricchezze e i vostri Stati, poiché prima di ogni cosa si informerà di questo, più che della persona, se, dico, mi rivolge questa domanda che cosa volete che gli risponda?” “Madre mia,” rispose Aladino, “non preoccupiamoci fin da adesso di una cosa che forse non succederà. Vediamo prima che accoglienza vi farà il sultano e la risposta che vi darà. Nel caso che lui voglia essere informato di tutto quello che avete detto, vedrò allora quale risposta dargli. Ho fiducia che la lampada, grazie alla quale ci sosteniamo da qualche anno, mi verrà in aiuto, se servirà. La madre di Aladino non ebbe niente da replicare alle parole del figlio. Rifletté sul fatto che la lampada di cui parlava poteva ben servire a meraviglie più grandi di quelle di procurare loro semplicemente quanto serve per vivere. Questo la accontentò ed eliminò tutte le difficoltà che ancora avrebbero potuto distoglierla dal servigio che aveva promesso di rendere al figlio presso il sultano. Aladino, intuendo il pensiero della madre, le disse: “Madre mia, ricordatevi almeno di mantenere il segreto, da questo tutto il successo che io e voi dobbiamo aspettarci da questa faccenda.”

Aladino e sua madre si separarono per riposare un po’, ma l’amore intenso e i grandi progetti di un’immensa felicità, che riempivano la mente di Aladino, gli impedirono di passare la notte così tranquillamente come avrebbe desiderato. Si alzò prima dell’alba e andò subito a svegliare la madre. La sollecitò a vestirsi il più rapidamente possibile, per andare davanti alla porta del palazzo del sultano per entrarvi quando veniva aperta, nel momento in cui il gran visir, i visir subalterni e tutti i grandi dignitari dello Stato vi entrano per la seduta del Divano, alla quale il sultano assisteva sempre di persona. La madre di Aladino fece tutto quello che volle suo figlio. Prese il vaso in cui era il dono di pietre preziose, lo avvolse in due panni, uno molto sottile e pulito, l’altro meno fine, e li legò per le quattro cocche per portarlo più agevolmente. Uscì infine con grande soddisfazione di Aladino, e si diresse al palazzo del sultano.

Il gran visir, accompagnato dagli altri visir, e i signori più importanti della corte erano già entrati quando lei arrivò alla porta.La folla di tutti quelli che avevano affari al Divano era grande. Venne aperto, e la madre di Aladino entrò con gli altri fino al Divano. Era una bellissima sala, profonda e spaziosa, la cui entrata era grande e magnifica. Lei si fermò e si sistemò in modo da trovarsi di fronte il sultano, il gran visir e i signori che in consiglio sedevano a destra e a sinistra. Furono chiamati gli interessati gli uni dopo gli altri, secondo l’ordine delle richieste che avevano presentato; e i loro affari furono riferiti, perorati e giudicati fino all’ora ordinaria della seduta del Divano. Allora il sultano si alzò, congedò il consiglio e rientrò nel suo appartamento dove fu seguito dal gran visir. Gli altri visir e i ministri del consiglio si ritirarono. Tutti quelli che vi si erano trovati per affari privati fecero lo stesso, alcuni soddisfatti per aver vinto la causa, altri scontenti del giudizio emesso contro di loro, e altri, infine, con la speranza di essere giudicati nel corso di un’altra seduta. La madre di Aladino che aveva visto il sultano alzarsi e ritirarsi pensò con ragione che per quel giorno egli non sarebbe più riapparso, vedendo che tutti uscivano, perciò prese la risoluzione di tornarsene a casa. Aladino, vedendola rientrare col dono destinato al sultano, in un primo momento non seppe che pensare dell’esito della sua missione. Nel timore in cui era che ella dovesse annunciargli qualcosa di funesto, non aveva la forza di aprire la bocca per chiederle che notizia gli portasse. La buona donna, che non aveva mai messo piede nel palazzo del sultano e che non aveva la minima conoscenza degli usi in vigore, liberò il figlio dall’inquietudine in cui si trovava, dicendogli con grande ingenuità: “Figlio mio, ho visto il sultano e sono proprio convinta che anche egli mi abbia vista.Ero proprio di fronte a lui, e nessuno gli impediva di vedermi, ma era tanto occupato con tutti quelli che gli parlavano a destra e a sinistra, che mi faceva compassione vedendo la pena e la pazienza che si prendeva per ascoltarli.Questo è durato così a lungo, che credo che alla fine si sia annoiato; infatti, inaspettatamente si è alzato e si è ritirato piuttosto bruscamente, senza voler ascoltare molte altre persone che erano in fila per parlargli a loro volta. Tuttavia ciò mi ha fatto molto piacere. Infatti, cominciavo a perdere la pazienza ed ero stanchissima di restare così a lungo in piedi; ma niente è perduto; non mancherò di tornarci domani; forse il sultano non sarà tanto occupato.

Aladino per quanto fosse innamorato, fu costretto ad accontentarsi di questa scusa e ad armarsi di pazienza. Ebbe senonaltro la soddisfazione di vedere che sua madre aveva fatto il passo più difficile, quello cioè di sostenere la vista del sultano e di sperare,seguendo l’esempio di quelli che gli avevano parlato in sua presenza, anche lei non avrebbe esitato a eseguire l’incarico che le aveva affidato, quando le si sarebbe presentato il momento favorevole per parlargli.

Il giorno dopo, sempre di buon’ora come il giorno precedente, la madre di Aladino andò ancora al palazzo del sultano col dono delle pietre preziose; ma il suo viaggio fu inutile: trovò chiusa la porta del Divano, e seppe che il consiglio si teneva solo ogni due giorni e che sarebbe perciò dovuta ritornare il giorno dopo. Andò a portare questa notizia a suo figlio, che fu costretto a pazientare ancora. Vi tornò altre sei volte, nei giorni stabiliti, mettendosi sempre di fronte al sultano, ma con lo stesso scarso successo della prima volta, e forse vi sarebbe tornata inutilmente altre cento volte, se il sultano, che la vedeva sempre di fronte a lui in ogni seduta, non l’avesse notata. Questo è tanto più probabile, in quanto soltanto quelli che dovevano presentare qualche richiesta si avvicinavano a turno al sultano,per perorare la propria causa secondo il loro ordine, e non era questo il caso della madre di Aladino.

Finalmente, quel giorno, dopo la chiusura del consiglio, quando il sultano fu rientrato nel suo appartamento, disse al gran visir: “Già da un po’ di tempo ho notato una donna che viene regolarmente ogni giorno in cui tengo consiglio, e che porta qualcosa avvolto in un fazzoletto; resta in piedi dall’inizio dell’udienza fino alla fine, e cerca di mettersi di fronte a me: sapete che cosa vuole?” Il gran visir, che non ne sapeva più del sultano, non volle tuttavia restare muto: “Sire,” rispose, “Vostra Maestà non ignora che le donne hanno spesso da lamentarsi per cose da niente: evidentemente questa di cui parliamo viene a lamentarsi con Vostra Maestà perché le è stata venduta una farina cattiva o per qualche altro torto dello stesso genere.” Il sultano non fu soddisfatto da questa risposta. “Il prossimo giorno di consiglio,” riprese, “se quella donna torna, non mancate di farla chiamare, affinché possa ascoltarla. Il gran visir rispose soltanto baciandosi la mano e mettendosela in testa, per dimostrare che era pronto a perderla se non avesse eseguito l’ordine del sultano. La madre di Aladino aveva già preso tanta confidenza nell’apparire al consiglio di fronte al sultano, da non far caso alla propria pur di far sapere al figlio che non tralasciava niente di tutto ciò che dipendeva da lei per accontentarlo. Tornò dunque a palazzo il giorno di consiglio, e si mise all’ingresso del Divano, come al solito proprio di fronte al sultano. Il gran visir non aveva ancora cominciato il suo rapporto su nessun affare, quando il sultano vide la madre di Aladino. Preso da compassione per la lunga pazienza della quale era stato testimone, disse al gran visir: “Prima di ogni cosa, per paura che lo dimentichiate, ecco la donna di cui vi parlai ultimamente; fatela venire e cominciamo con l’ascoltarla e sbrighiamo la faccenda che la porta qui. Subito il gran visir indicò la donna al capo degli uscieri, il quale era in piedi, pronto a ricevere i suoi ordini, e gli ordinò di andare a chiamarla e di farla avvicinare. Il capo degli uscieri si avvicinò alla madre di Aladino, e al suo cenno, lei lo seguì fino ai piedi del trono del sultano, dove l’usciere la lasciò per andare a riprendere il suo posto, vicino al gran visir. La madre di Aladino, istruita dall’esempio di tante altre persone che aveva visto avvicinarsi al sultano, si prosternò con la fronte sul tappeto che ricopriva i gradini del trono, e restò in questa posizione finché il sultano non le ordinò di rialzarsi. Ella si alzò; e allora il sultano le disse: “Buona donna, da molto tempo vi vedo venire al mio divano, e restare sulla porta dall’inizio alla fine: che cosa vi porta qui?” La madre di Aladino si prosternò una seconda volta, dopo aver ascoltato queste parole; e, quando si fu rialzata, disse: “Sovrano superiore a tutti i sovrani del mondo, prima di esporre a Vostra Maestà la ragione straordinaria e quasi incredibile che mi porta davanti al vostro trono sublime, supplico di perdonare l’ardire per non dire l’impudenza della richiesta che vengo a fare: essa è così poco comune, che tremo e ho vergogna di rivolgerla al mio sultano.” Per darle completa libertà di spiegarsi, il sultano ordinò che tutti uscissero dal Divano e che lo lasciassero solo col suo gran visir; e poi le disse che poteva parlare e spiegarsi senza timore. La madre di Aladino non si accontentò della bontà del sultano, che le risparmiava l’imbarazzo che lei poteva avere di parlare davanti a tutti, volle anche mettersi al riparo dall’indignazione che doveva temere per la proposta che doveva fargli e che lui non si aspettava. “Sire,” disse ricominciando a parlare, “oso ancora supplicare Vostra Maestà, nel caso giudichi la mia domanda minimamente offensiva o ingiuriosa, di assicurarmi prima il suo perdono e di accordarmene la grazia. “Qualunque possa essere,” replicò il sultano, “ve la perdono fin da ora, e non vi succederà niente. Parlate senza timore.”

Quando la madre di Aladino ebbe preso tutte queste precauzioni, da donna che temeva la collera del sultano per una proposta così delicata come quella che doveva fargli, gli raccontò fedelmente in quale occasione Aladino aveva visto la principessa Badr-al-Budur,l’intenso amore che questa vista fatale gli aveva ispirato, la rivelazione che egli gliene aveva fatta, tutto quello che lei gli aveva detto per distoglierlo da una passione non meno ingiuriosa per Sua Maestà che la principessa sua figlia. “Ma,” continuò, “mio figlio, ben lontano dall’approfittarne e dal riconoscere il suo ardire, si è ostinato a perseverarvi fino al punto di minacciarmi di qualche atto disperato se avessi rifiutato di venire a chiedere la principessa in moglie a Vostra Maestà; e solo dopo essermi fatta grande violenza mi sono costretta ad accontentarlo, perciò supplico ancora una volta Vostra Maestà di voler accordare il perdono, non solo a me, ma anche a mio figlio Aladino, per aver avuto il temerario pensiero di aspirare a una così alta parentela.”

Il sultano ascoltò tutto questo discorso con molta dolcezza e bontà senza dare nessun segno di collera o di indignazione, e senza neppure burlarsi della domanda. Ma, prima di rispondere a quella brava donna, le chiese che cosa aveva portato avvolto in quel panno. Subito lei prese il vaso di porcellana che aveva messo ai piedi del trono prima di prosternarsi; lo scoprì e lo diede al sultano. Non è possibile esprimere la meraviglia e lo stupore del sultano quando vide riunite in quel vaso tante pietre di così grande valore, così preziose, così perfette, così splendenti e di tale grandezza che non ne aveva ancora viste di simili. Per qualche minuto fu in preda a un’ammirazione tanto grande da restare immobile. Dopo essersi ripreso, ricevette il dono dalle mani della madre di Aladino, esclamando in un impeto di gioia: “Ah! Come sono belle! sono magnifiche!” Dopo aver ammirato e toccato tutte le pietre preziose le une dopo le altre, valutandole ognuna per ciò che le distingueva, si rivolse al gran visir e, mostrandogli il vaso, disse: “Guarda e ammetti che al mondo non si può vedere niente di più ricco né di più perfetto.” Il visir ne fu incantato. “Ebbene!” continuò il sultano, “che dici di un simile dono? Non è degno della principessa mia figlia? E non posso darla, a questo prezzo, a colui che me la fa chiedere in moglie?” Queste parole misero il gran visir in una strana agitazione. Da un po’ di tempo, il sultano gli aveva fatto capire che aveva l’intenzione di dare la principessa in moglie a suo figlio. Egli temette, e non senza ragione, che il sultano, abbagliato da un dono così ricco e così straordinario, cambiasse idea. Si avvicinò al sultano; e, parlando all’orecchio gli disse: “Sire, non si può negare che il dono non sia degno della principessa; ma supplico Vostra Maestà di accordarmi tre mesi prima di decidersi: spero che prima di allora mio figlio, sul quale come avete avuto la bontà di dirmi, avete messo gli occhi, potrà fargliene uno più pregiato di questo di Aladino che Vostra Maestà non conosce.” Il sultano, sebbene fosse convinto che non era possibile che il suo gran visir potesse trovare per suo figlio un dono dello stesso valore da fare alla principessa, tuttavia lo ascoltò ugualmente e gli accordò questa grazia. Perciò rivolgendosi alla madre di Aladino, le disse: “Andate, brava donna; tornate a casa, e dite a vostro figlio che gradisco la proposta che mi avete fatto da parte sua; ma non posso fare sposare la principessa mia figlia prima di averle fatto arredare un appartamento, che sarà pronto soltanto fra tre mesi. Perciò, ritornate allo scadere di questo termine.”

La madre di Aladino tornò a casa in preda a una gioia tanto maggiore in quanto, per la sua condizione, aveva dapprima considerato impossibile l’accesso presso il sultano, e perché, d’altra parte, aveva ottenuto una risposta cosi favorevole mentre si era aspettata un rifiuto che l’avrebbe coperta di vergogna. Due cose fecero pensare ad Aladino quando vide entrare la madre, che lei gli portava una buona notizia: la prima, che tornava più presto del solito; l’altra che aveva il viso contento e aperto. “Ebbene! madre mia,” le disse, “devo sperare? Devo morire di disperazione?” Dopo essersi tolta il velo ed essersi seduta accanto a lui sul divano, la madre gli disse: “Figlio mio, per non tenervi troppo nell’incertezza, comincerò con il dirvi che, ben lungi dal pensare a morire, avete tutte le ragioni per contento.” Continuando a parlare, gli raccontò in che modo avesse ottenuto udienza prima di tutti, e perciò fosse tornata così presto; le precauzioni che aveva preso per fare al sultano, senza che se ne offendesse, la sua proposta di matrimonio con la principessa e la risposta completamente favorevole che il sultano le aveva dato personalmente. Ella aggiunse che, da quanto poteva giudicare dai segni manifestati dal sultano, soprattutto il dono aveva avuto un potente effetto sul suo animo per deciderlo alla risposta favorevole che lei gli portava. “Tanto meno me l’aspettavo,” disse ancora, “in quanto il gran visir gli ha parlato all’orecchio prima che il sultano mi rispondesse, e temevo che volesse distorglierlo dalla buona volontà che egli poteva avere per voi.” Aladino si considerò il più felice dei mortali apprendendo questa notizia. Ringraziò sua madre di tutte le pene che si era presa per farlo riuscire nel suo disegno, il cui successo era tanto importante per la sua pace; e, impaziente com’era di ottenere l’oggetto della sua passione, benché tre mesi gli sembrassero lunghissimi, tuttavia si dispose ad aspettare con pazienza, fidandosi della parola del sultano, che egli considerava irrevocabile.

Mentre contava non solo le ore, i giorni e le settimane, ma perfino i minuti, nell’attesa che fosse passato il termine, erano passati circa due mesi, quando una sera la madre, volendo accendere la lampada, si accorse che non c’era più olio in casa. Ella uscì per andare a comprarlo; e mentre camminava per la città, vide che tutto era in festa. Infatti, le botteghe,invece di essere chiuse, erano aperte; venivano ornate di foglie, si preparavano luminarie, tutti si sforzavano di farlo con più pompa e magnificenza per meglio manifestare il proprio zelo; tutti insomma davano dimostrazioni di gioia e di allegria. Le vie erano anche piene di ufficiali in abito da cerimonia che montavano cavalli riccamente bardati, ed erano circondati da un gran numero di valletti a piedi che andavano e venivano. Lei chiese al mercante dal quale comprò l’olio che cosa significasse tutto questo. “Da dove venite, mia buona signora?” le disse il mercante; “non sapete che questa sera il figlio del gran visir sposa la principessa Badr-al-Budur, figlia del sultano? Tra poco lei uscirà dal bagno, e gli ufficiali che vedete si riuniscono per scortarla fino a palazzo dove avverrà la cerimonia.” La madre di Aladino non volle saperne di più. Tornò indietro così in fretta che entrò in casa quasi senza fiato. Trovò il figlio, che tutto si aspettava meno la brutta notizia che lei gli portava. “Figlio mio,” esclamò, “tutto è perduto per voi! Voi contavate sulla bella promessa del sultano, non se ne farà niente. Aladino preoccupato da queste parole, rispose: “Mamma, perché dite che il sultano non manterrà la sua promessa? Come lo sapete?” “Questa sera,” replicò la madre, “il figlio del gran visir sposa la principessa Badr-al-Budur a palazzo.” Gli raccontò in che modo lo aveva saputo, con tanti particolari che egli non ebbe motivo di dubitarne. A questa notizia, Aladino restò immobile, come se fosse stato colpito da un fulmine. Chiunque altro al suo posto ne sarebbe stato abbattuto; ma una segreta gelosia gli impedì di rimanere a lungo in quello stato. Di colpo si ricordò della lampada che gli era stata così utile fino ad allora, e senza lasciarsi andare a vane parole contro il sultano, contro il gran visir o contro il figlio di questo ministro,disse soltanto: “Mamma, il figlio del gran visir forse non sarà questa notte felice come si ripromette. Mentre vado un momento in camera mia, preparate la cena.” La madre di Aladino capì benissimo che il figlio voleva fare uso della lampada per impedire, se possibile, che il matrimonio del figlio del gran visir con la principessa giungesse fino alla consumazione, e non si ingannava. Infatti, quando Aladino fu in camera sua, prese la lampada meravigliosa, che egli aveva messo lì per toglierla dalla vista della madre, da quando l’apparizione del genio l’aveva tanto spaventata; prese, dico, la lampada, e la strofinò allo stesso punto delle altre volte. Subito il genio gli comparve davanti. “Che vuoi?” disse ad Aladino; “sono pronto a ubbidirti come tuo schiavo, e schiavo di tutti quelli che hanno la lampada in mano, io e gli altri schiavi della lampada.” “Ascolta,” gli disse Aladino, “fino ad ora mi hai portato da mangiare quando ne ho avuto bisogno. Ora si tratta di un affare di tutt’altra importanza. Ho fatto chiedere in moglie al sultano la principessa Badr-al-Budur, sua figlia; egli me l’ha promessa, e mi ha chiesto una proroga di tre mesi. Invece di mantenere la sua promessa, questa sera, prima che il termine scadesse, egli la sposa al figlio del gran visir: l’ho saputo in questo momento, e la cosa è sicura. Ti chiedo che non appena i novelli sposi saranno coricati tu li prenda e li porti qui entrambi nel loro letto. “Padrone mio,” rispose il genio, “sarai ubbidito. Hai altro da comandare?” “Nient’altro per il momento,” rispose Aladino. Subito il genio sparì. Aladino tornò dalla madre, cenò con lei con la stessa tranquillità di sempre. Dopo cena, s’intrattenne per un po’ con lei sul matrimonio della principessa, come se la cosa non lo preoccupasse più. Tornò nella sua camera e lasciò la madre libera di coricarsi. Egli non si coricò, ma aspettò il ritorno del genio e l’esecuzione dell’ordine che gli aveva dato.

Intanto, tutto era stato preparato con grande magnificenza nel palazzo del sultano per la celebrazione delle nozze della principessa e la serata passò fra cerimonie e festeggiamenti fino a notte molto inoltrata. Quando tutto fu finito, il figlio del gran visir, al segnale del capo degli eunuchi della principessa, se la svignò accortamente, e quest’ufficiale lo introdusse nell’appartamento della principessa sua sposa, fino alla camera dove era preparato il letto nuziale. Egli si coricò per primo. Poco dopo, la sultana,accompagnata dalle sue ancelle e da quelle della principessa sua figlia, portò la novella sposa. Ella faceva grandi resistenze come l’usanza voleva che le novelle spose facessero. La sultana la aiutò a spogliarsi, la mise nel letto come a forza;e,dopo averla abbracciata augurandole la buona notte, si ritirò con tutte le ancelle; e l’ultima che uscì chiuse la porta della camera. Appena la porta della camera fu chiusa, il genio come schiavo fedele della lampada e pronto a eseguire gli ordini di quelli che la possedevano, senza dare il tempo allo sposo di fare la minima carezza alla sua sposa, solleva il letto con lo sposo e la sposa, con grande stupore di entrambi e, in un istante, lo trasporta nella camera di Aladino dove lo posa. Aladino, che aspettava questo momento con impazienza, non sopportò che il figlio del gran visir rimanesse coricato con la principessa. “Prendi il novello sposo,” disse al genio, “chiudilo nel camerino e torna domani mattina, un po’ dopo l’alba.” Il genio tirò subito fuori il figlio del gran visir dal letto, in camicia, e lo trasportò nel posto indicatogli da Aladino, dove lo lasciò, dopo avergli gettato addosso un soffio che egli sentì dalla testa ai piedi che gli impedì di muoversi da lì.

Sebbene la passione di Aladino per la principessa Badr-al-Budur fosse molto violenta, tuttavia, quando si vide solo con lei, non le fece un lungo discorso. “Non temete nulla, adorabile principessa, “le disse con aria molto appassionata;” qui siete al sicuro; e, nonostante il mio intenso amore per la vostra bellezza e per le vostre grazie, esso non mi farà mai uscire dai limiti del profondo rispetto che vi devo. Se sono stato costretto,” continuò, “a giungere a questo estremo, non è stato con l’intenzione di offendervi, ma per impedire che un ingiusto rivale vi possedesse, contrariamente alla parola data dal sultano vostro padre in mio favore.” La principessa, che non sapeva niente di queste circostanze, prestò pochissima attenzione a tutto quello che Aladino poté dirle. Non era affatto in condizioni di rispondergli. Il terrore e lo stupore in cui era per un’avventura così stupefacente e così poco attesa l’avevano messa in un tale stato, che Aladino non riuscì a tirarle fuori nemmeno una parola. Aladino non si accontentò di questo: prese la risoluzione di spogliarsi e si coricò al posto del figlio del gran visir, con la schiena rivolta alla principessa, dopo aver prese la precauzione di mettere una sciabola tra loro due per significare che egli avrebbe meritato di essere punito se avesse attentato al suo onore. Aladino, contento di aver così privato il suo rivale della felicità di cui si era lusingato di godere quella notte, dormì abbastanza tranquillamente. Non fu così per la principessa Badr-al-Budur: mai in vita sua le era capitato di passare una notte così incresciosa e così spiacevole; e, se si riflette al posto e allo stato in cui il genio aveva lasciato il figlio del gran visir, si converrà che il novello sposo l’aveva passata in maniera ben più triste.

Il giorno dopo, Aladino non ebbe bisogno di strofinare la lampada per chiamare il genio. Egli tornò all’ora che gli era stata indicata Aladino stava finendo di vestirsi. “Eccomi,” disse ad Aladino, “quali sono i tuoi ordini?” “Va’ a riprendere il figlio del gran visir là dove l’hai portato,” gli disse Aladino; “rimettilo in questo letto e riportarlo nel palazzo del sultano al posto in cui l’hai preso. Il genio andò a liberare il figlio del gran visir, e Aladino stava riprendendo la sua sciabola quando egli riapparve. Mise lo sposo accanto alla principessa, e in un istante riportò il letto nuziale nella stessa camera del palazzo del sultano dove l’aveva preso. Bisogna notare che, in tutto questo tempo, il genio non fu visto né dalla principessa né dal figlio del gran visir. Il suo orribile aspetto sarebbe stato capace di farli morire di terrore. Non sentirono neppure i discorsi tra lui e Aladino; e si accorsero solo che il letto veniva smosso e di essere trasportati da un posto all’altro:eragià abbastanza perché essi provassero il terrore che è facile immaginare.

Il genio aveva appena rimesso il letto nuziale al suo posto, quando il sultano, curioso di sapere come la principessa sua figlia avesse passato la sua prima notte di nozze, entrò nella sua camera per augurarle il buongiorno. Il figlio del gran visir, intirizzito dal freddo patito per tutta la notte e che non aveva ancora avuto il tempo di riscaldarsi, appena sentì aprirsi la porta, andò subito in uno spogliatoio dove la sera prima si era svestito. Il sultano si avvicinò al letto della principessa, la baciò tra gli occhi secondo le abitudini, augurandole il buongiorno e le chiese, sorridendo, come aveva passato la notte; ma, alzando la testa e guardandola con più attenzione, fu grandemente stupito vedendola così malinconica e notando che lei non gli dimostrava, né con il rossore che avrebbe potuto imporporarle le guance, né con nessun altro segno, quello che avrebbe potuto soddisfare la sua curiosità. Ella gli lanciò uno sguardo tristissimo, in un modo che dimostrava una grande tristezza o un grande scontento. Egli le disse ancora qualcosa; ma, vedendo che non riusciva a tirarle fuori una parola, pensò che tacesse per pudore, e si ritirò. Però sospettò che nel suo silenzio ci fosse qualcosa di straordinario, e questo lo costrinse ad andare immediatamente nell’appartamento della sultana,ù alla quale fece il racconto dello stato in cui aveva trovato la principessa e dell’accoglienza che gli aveva fatto. “Sire,” gli disse la sultana, “questo non deve stupire Vostra Maestà: non c’è novella sposa che non abbia lo stesso ritegno il giorno dopo le nozze. Non sarà più così fra due o tre giorni: allora lei riceverà il sultano suo padre come deve. Vado a trovarla,” aggiunse, “mi inganno molto se non mi farà la stessa accoglienza.” Quando la sultana si fu vestita, andò nell’appartamento della principessa, che non si era ancora alzata; si avvicinò al letto e le diede il buon giorno abbracciandola; il suo stupore fu sommo non solo perché la figlia non le rispose niente, ma anche perché, guardandola, si accorse che era in un grande abbattimento e questo le fece pensare che le fosse successo qualcosa che non riusciva a penetrare. “Figlia mia,” le disse la sultana, “perché rispondete così male alle mie carezze? Proprio con vostra madre dovete assumere questo atteggiamento? Credete che io non sappia che cosa può capitare in una circostanza simile a quella in cui vi trovate voi? Voglio proprio credere che non abbiate questo pensiero, allora vi deve essere capitato qualche altra cosa; confessatemela francamente, e non lasciatemi più a lungo in questa inquietudine che mi opprime.” La principessa Badrulbudura ruppe infine il silenzio con un profondo sospiro: “Ah! signora e onoratissima madre,” esclamò, “perdonatemi se ho mancato al rispetto che vi devo! Ho la mente così assorta nelle cose straordinarie che mi sono capitate questa notte, che non mi sono ancora completamente ripresa dal mio stupore né dai miei terrori, e che stento persino a raccapezzarmi.” Allora, le raccontò coi colori più vivaci in che modo, un istante dopo essersi messa a letto insieme col suo sposo, il letto era stato sollevato e trasportato, in un attimo, in una camera sporca e scura, dove si era trovata sola e separata dal suo sposo, senza sapere che cosa fosse successo di lui, e dove aveva visto un giovane il quale dopo avere detto alcune parole che il terrore le aveva impedito di sentire, si era coricato al posto del suo sposo, dopo aver messo la sua sciabola tra di loro; e che il suo sposo le era stato reso e il letto riportato al suo posto, altrettanto rapidamente. “Tutto questo era appena avvenuto,” aggiunse, “quando il sultano mio padre è entrato incamera mia; io ero così accasciata dalla tristezza, che non ho avuto la forza di rispondergli una sola parola; perciò sono sicura che egli si è indignato per la maniera in cui ho ricevuto l’onore che mi ha fatto; ma spero che mi perdonerà, quando saprà la mia triste avventura e il pietoso stato in cui mi trovo ancora in questo momento.”

La sultana ascoltò molto tranquillamente tutto quello che la principessa volle raccontarle; ma non volle prestarvi fede. “Figlia mia,” le disse, “avete fatto bene a non parlare di questo al sultano vostro padre. Guardatevi dal dirne qualcosa ad alcuno: vi prenderebbero per pazza se vi sentissero parlare così.” “Signora,” riprese la principessa, “posso assicurarvi che vi parlo essendo completamente in me; potrete chiederlo al mio sposo: vi dirà la stessa cosa.” “Glielo chiederò,” replicò la sultana; “ma, anche se mi confermasse quello che mi avete raccontato, non ne sarei più convinta di ora. Alzatevi, intanto, e scacciate dalla vostra mente questa fantasia; bella cosa turbare, per una visione simile, le feste ordinate per le vostre nozze, che devono continuare per parecchi giorni in questo palazzo e in tutto il regno! Non sentite già il suono delle fanfare e i concerti di trombe, timpani e tamburi? Tutto questo deve ispirarvi la gioia e il piacere, e farvi dimenticare tutte le fantasie di cui mi avete parlato.” Nello stesso tempo la sultana chiamò le ancelle della principessa; e, dopo che esse l’ebbero aiutata ad alzarsi, la sultana, quando ebbe visto la figlia alla specchiera, andò nell’appartamento del sultano: gli disse che in verità la figlia doveva aver avuto qualche fantasia per la mente, ma che non era niente. Fece chiamare il figlio del visir, per sapere da lui qualche cosa di quanto le aveva detto la principessa; ma il figlio del visir, che si considerava infinitamente onorato di imparentarsi col sultano, aveva deciso di fingere. “Mio caro genero,” gli disse la sultana, “ditemi, siete in preda alla stessa fissazione della vostra sposa?” “Signora, rispose il figlio del visir, “posso osare chiedervi per quale ragione mi fate questa domanda?” “Basta così,” replicò la sultana; “non voglio sapere altro: voi siete più saggio di lei.”

A palazzo i festeggiamenti durarono per tutto il giorno; e la sultana, non abbandonò mai la principessa, non tralasciò niente per ispirarle la gioia e per farle prendere parte ai divertimenti che le offrivano con diversi generi di spettacoli; ma lei era tanto colpita dal pensiero di ciò che le era successo la notte, che, come era facile vedere, ne era completamente assorta. Il figlio del gran visir non era meno prostrato dalla brutta notte che aveva passato; ma la sua ambizione lo indusse a dissimulare; e, vedendolo, nessun dubitò che non fosse uno sposo felicissimo.

Aladino, che era ben informato di quanto accadeva a palazzo, fu sicuro che gli sposi si sarebbero coricati insieme, nonostante la spiacevole avventura capitata loro la notte precedente. Aladino non aveva nessuna voglia di lasciarli tranquilli. Perciò, appena cominciò a scendere la,ricorse alla lampada. Subito il genio apparve e rivolse ad Aladino lo stesso complimento delle altre volte, offrendogli i suoi servigi . “Il figlio del gran visir e la principessa Badr-al-Budur,” gli disse Aladino, “devono ancora dormire insieme questa notte; va’, e appena si saranno coricati, portami qui il letto, come ieri.” Il genio servì Aladino con la stessa fedeltà e precisione del giorno prima: il figlio del visir passò la notte nello stesso brutto modo come aveva già fatto, e la principessa ebbe la stessa mortificazione di avere Aladino come compagno di letto, con la sciabola posta tra loro due. Il genio, seguendo gli ordini di Aladino, ritornò la mattina dopo, rimise lo sposo accanto alla sposa, prese il letto e lo riportò nella camera del palazzo dove l’aveva preso.

Il sultano, dopo l’accoglienza che la principessa Badr-al-Budur gli aveva riservata il giorno prima, preoccupato di sapere come avesse passato la seconda notte e se l’accogliesse di nuovo nello stesso modo, andò nella sua camera, sempre di buon mattino, per informarsene. Il figlio del gran visir, più vergognoso e più mortificato del fallimento di quest’ultima notte che della prima, appena sentì venire il sultano, si alzò precipitosamente e si slanciò nello spogliatoio. Il sultano si avvicinò al letto della principessa augurandole il buon giorno; e, dopo averle fatto le stesse carezze del giorno prima, le chiese: “Ebbene, figlia mia, questa mattina siete dello stesso cattivo umore di ieri? Volete dirmi come avete passato la notte?” La principessa mantenne lo stesso silenzio, e il sultano si accorse aveva l’animo molto meno tranquillo e che era più abbattuta della prima volta. Non dubitò che fosse successo qualcosa di straordinario. Allora, irritato del mistero che lei ne faceva, le disse molto adirato e con la sciabola in pugno: “Figlia mia, o mi dite quel che mi nascondete, o vi taglio subito la testa.” La principessa, più spaventata dal tono e dalla minaccia del sultano offeso che dalla vista della sciabola sguainata, ruppe infine il silenzio: “Mio caro padre e sultano,” esclamò con le lacrime agli occhi, “chiedo perdono a Vostra Maestà se l’ho offesa. Spero dalla vostra bontà e dalla vostra clemenza che farete subentrare la compassione alla collera, quando vi avrò fatto il racconto fedele del triste e pietoso stato in cui mi sono trovata per tutta questa notte e per tutta la notte scorsa.” Dopo questo preambolo, che calmò e intenerì un po’ il sultano, gli raccontò fedelmente tutto quello che le era successo in quelle due orribili notti, ma in modo così commovente che egli ne fu vivamente addolorato per l’amore e la tenerezza che provava per lei. Lei finì con queste parole: “Se Vostra Maestà ha il minimo dubbio sul racconto che gli ho fatto, può informarsene dallo sposo che mi ha dato. Sono sicura che egli confermerà la verità di quanto ho detto.” Il sultano condivise interamente l’estrema sofferenza che un’avventura così stupefacente doveva aver causato alla principessa: “Figlia mia,” le disse, “avete fatto molto male a non spiegarvi con me fin da ieri su una faccenda così strana come quella che mi avete raccontata, alla quale non sono meno interessato di voi. Io non vi ho fatto sposare con l’intenzione di rendervi infelice, ma piuttosto con lo scopo di rendervi felice e contenta, e di farvi godere di tutta la felicità che meritate e che potevate sperare con uno sposo che mi era sembrato adatto a voi. Cancellate dalla vostra mente il brutto ricordo di tutto quello che mi avete raccontato. Farò in modo che non vi capitino più notti così spiacevoli e così poco sopportabili come le due che avete passato.

Appena il sultano fu rientrato nel suo appartamento, mandò a chiamare il gran visir. “Visir,” gli disse, “avete visto vostro figlio? Non vi ha detto niente?” Poiché il gran visir gli rispose di non averlo visto,il sultano gli fece il racconto di tutto ciò che gli aveva narrato la principessa. E finendo, aggiunse: “Non dubito che mia figlia mi abbia detto la verità; sarei lieto, tuttavia, di averne la conferma dalla testimonianza di vostro figlio: andate da lui e chiedetegli come stanno le cose.” Il gran visir non tardò ad andare a raggiungere suo figlio, lo mise a conoscenza di quanto il sultano gli aveva comunicato, e gli comandò di non nascondergli la verità e di dirgli se tutto ciò era vero.” “Non ve la nasconderò, padre mio,” gli rispose il figlio; “tutto quello che la principessa ha detto al sultano è vero; ma non ha potuto dirgli i cattivi trattamenti che sono stati inflitti solo a me; eccoli: dopo il mio matrimonio ho passato le due notti più crudeli che si possano immaginare, e non ho parole per descrivervi esattamente e con tutte le loro circostanze i dolori che ho sopportato. Non vi parlo del terrore che ho provato sentendomi portare via quattro volte nel mio letto, senza vedere chi sollevava il letto e lo trasportava da un posto all’altro, e senza riuscire ad immaginare come questo fosse possibile. Giudicherete voi stesso l’orribile stato nel quale mi sono trovato, quando vi dirò che ho passato due notti, in piedi e in camicia, in una specie di stretto camerino, senza avere la libertà di muovermi dal posto dove ero stato messo e senza poter fare nessun movimento, sebbene apparentemente non vedessi nessun ostacolo che potesse verosimilmente impedirmelo. Detto questo, non è necessario che io aggiunga altro per raccontarvi i particolari delle mie sofferenze. Non vi nasconderò che questo non mi ha impedito di avere per la principessa mia sposa tutti i sentimenti d’amore, di rispetto e di riconoscenza che lei merita; ma vi confesso in buona fede che, con tutto l’onore e tutto lo splendore che mi derivano dall’avere sposato la figlia del mio sovrano, preferirei morire piuttosto che avere più a lungo l’onore di una così illustre parentela se è necessario sopportare trattamenti così sgradevoli come quelli che ho già patiti. Non dubito affatto che la principessa non provi i miei stessi sentimenti; e lei sarà sicuramente d’accordo che la nostra separazione non è meno necessaria alla sua tranquillità che alla mia. Perciò, padre mio, vi supplico, per lo stesso affetto che vi ha portato a procurarmi un così grande onore, di far accettare al sultano che il nostro matrimonio sia dichiarato nullo.” Per quanto grande fosse l’ambizione del gran visir di vedere suo figlio genero del sultano, tuttavia, vedendo la sua ferma decisione di separarsi dalla principessa, ritenne che non era opportuno proporgli di aver pazienza, almeno per qualche giorno ancora, per vedere se questa faccenda avesse termine. Lo lasciò e andò a riferire la sua risposta al sultano, al quale confessò sinceramente che la cosa era fin troppo vera, dopo quanto aveva sentito dal figlio. Senza neppure aspettare che il sultano gli parlasse di rompere il matrimonio, cosa alla quale lo vedeva molto ben disposto, lo supplicò di permettere che suo figlio lasciasse il palazzo e ritornasse a casa sua, prendendo a pretesto che non era giusto esporre la principessa neppure un minuto di più a una persecuzione così terribile per amore di suo figlio. Il gran visir non ebbe difficoltà a ottenere quello che chiedeva. Subito il sultano, che aveva già deciso la cosa, diede ordine di far cessare i festeggiamenti a palazzo e in città, e anche in tutto il suo regno, dove fece spedire ordini che revocavano i primi, e in brevissimo tempo tutte le manifestazioni di gioia e i pubblici festeggiamenti cessarono in tutta la città e nel regno. Questo cambiamento repentino e così inatteso fece nascere molte diverse supposizioni; ci si chiedeva reciprocamente il motivo di questo contrattempo; e altro non si diceva se non che si era visto il gran visir uscire da palazzo e ritornarsene a casa accompagnato dal figlio, tutti e due con un’aria molto triste. Solo Aladino conosceva il segreto e si rallegrava dentro di sé del successo procuratogli dalla lampada. Perciò appena ebbe saputo con certezza che il suo rivale aveva abbandonato il palazzo e che il matrimonio con la principessa era definitivamente annullato, non ebbe più bisogno di strofinare ulteriormente la lampada né di chiamare il genio per impedire che venisse consumato. Stranamente, né il sultano né il gran visir, che avevano dimenticato Aladino e la domanda che lui aveva fatto fare, ebbero il minimo dubbio che egli potesse avere a che fare con l’incantesimo che aveva provocato lo scioglimento del matrimonio della principessa.

Intanto, Aladino lasciò passare i tre mesi che il sultano aveva stabilito come termine per far celebrare il suo matrimonio con la principessa; egli ne aveva contato tutti i giorni con grande cura, e, appena trascorsi, non mancò di mandare subito la madre a palazzo per ricordare al sultano la parola che aveva dato. La madre di Aladino andò a palazzo, come suo figlio le aveva detto, e andò a mettersi all’ingresso del Divano, nello stesso punto delle altre volte. Appena il sultano alzò gli occhi su di lei, la riconobbe e si ricordò contemporaneamente della domanda che gli aveva fatto e del periodo al quale lui l’aveva rinviata. In quel momento il gran visir stava facendogli il rapporto di un affare. “Visir,” gli disse il sultano interrompendolo, “vedo la brava donna che qualche mese fa ci fece un così bel dono, fatela venire; riprenderete il vostro rapporto dopo che l’avrò ascoltata.” Il gran visir, guardando verso l’ingresso del Divano, vide anche lui la madre di Aladino. Subito chiamò il capo degli uscieri, indicandogliela, e gli diede l’ordine di farla venire avanti. La madre di Aladino avanzò fino a piedi del trono, dove si prosternò secondo la sua abitudine. Dopo che si fu rialzata, il sultano le chiese che cosa volesse. “Sire,” gli rispose, “mi presento ancora davanti al vostro trono per ricordarvi, in nome di mio figlio Aladino, che i tre mesi fissati per accogliere la domanda che avevo avuto l’onore di rivolgervi sono passati, e vi supplico di avere la bontà di ricordarvene.” Il sultano, rinviando di tre mesi la sua risposta alla domanda di quella brava donna, la prima volta in cui l’aveva vista, aveva pensato che non avrebbe più sentito parlare di un matrimonio che egli considerava poco adatto alla principessa sua figlia, soltanto considerando la bassa condizione e la povertà della madre di Aladino, la quale si presentava da lui vestita molto modestamente. Tuttavia, l’intimazione di mantenere la sua parola, che ella veniva a fargli, gli sembrò imbarazzante; non ritenne opportuno risponderle subito, consultò il gran visir e gli manifestò quanto gli ripugnasse concludere il matrimonio della principessa con uno sconosciuto, il quale, come immaginava, doveva possedere un patrimonio molto inferiore al più mediocre. Il gran visir non esitò a esprimere la sua opinione al sultano: “Sire,” gli disse, “mi sembra che ci sia un mezzo infallibile per evitare un matrimonio così sproporzionato senza che Aladino, anche se fosse sconosciuto da Vostra Maestà, possa lamentarsene: mettere la principessa a un prezzo così alto che le sue ricchezze, quali che possano essere, non possano bastare. Sarà il mezzo per farlo rinunciare a un progetto tanto ardito, per non dire temerario, al quale non deve certamente aver ben pensato prima di impegnarvisi.” Il sultano approvò il consiglio del gran visir. Si rivolse verso la madre di Aladino; e, dopo qualche minuto di riflessione, le disse: “Mia brava donna, i sultani devono mantenere la loro parola; sono pronto a mantenere la mia e a rendere vostro figlio felice facendogli sposare la principessa mia figlia; ma, poiché non posso dargliela in sposa senza sapere quale vantaggio lei vi troverà, direte a vostro figlio che manterrò la mia parola appena egli mi avrà inviato quaranta grandi vassoi di oro massiccio, pieni delle stesse cose che mi avete già offerto da parte sua, portati da uno stesso numero di schiavi negri, che dovranno essere accompagnati da altri quaranta schiavi bianchi giovani, ben fatti e di bella statura, tutti vestiti con grande ricchezza: queste sono le condizioni alle quali sono pronto a dargli la principessa mia figlia. Andate, brava donna, aspetterò che mi portiate la sua risposta.”

La madre di Aladino si prosternò davanti al trono del sultano, e andò via. Per strada, rideva tra sé della folle immaginazione di suo figlio.. ‘Dove troverà,’ diceva, ‘tanti vassoi d’oro e una così grande quantità di quei vetri colorati da riempirli? Ritornerà nel sotterraneo il cui ingresso è chiuso, per coglierli dagli alberi? E tutti questi schiavi così ben fatti, come vuole il sultano, dove li prenderà? La sua pretesa lo porta molto lontano; e credo che non sarà affatto contento della mia ambasciata’. Quando fu tornata a casa con la mente presa da tutti questi pensieri, che le facevano credere che Aladino non avesse più niente da sperare gli disse: “Figlio mio, vi consiglio di non pensare più al matrimonio con la principessa. Il sultano, per la verità, mi ha ricevuto con molta bontà. E credo che fosse ben intenzionato verso di voi, ma il gran visir, se non m’inganno, gli ha fatto cambiare idea, e potete presumerlo come me da quanto ora sentirete. Dopo aver fatto notare a Sua Maestà che i tre mesi erano passati e che lo pregavo, da parte vostra, di ricordarsi della sua promessa, ho notato che mi ha dato la risposta, che ora vi riferirò, solo dopo aver parlato per un po’ a bassa voce col gran visir.” La madre di Aladino fece un racconto esattissimo a suo figlio di tutto quello il sultano le aveva detto e delle condizioni alle quali avrebbe acconsentito al suo matrimonio con la principessa sua figlia. E, finendo, gli disse: “Figlio mio, egli aspetta la vostra risposta; ma, detto tra di noi,” continuò sorridendo, “credo che aspetterà a lungo.” “Non così a lungo come pensate, madre mia,” rispose Aladino, e anche il sultano si sbaglia se ha creduto, con le sue esose richieste, di mettermi in condizione di non pensare più alla principessa Badr-al-Budur. Io mi aspettavo altre difficoltà insuperabili, o che mettesse la mia incomparabile principessa a un prezzo molto più alto; ma ora sono contento, e quello che lui mi chiede è poca cosa in confronto a quanto sarei in condizione di dargli per poterla possedere. Mentre io penserò a soddisfarlo, andate a comprare il necessario per il pranzo e lasciatemi fare.”

Appena la madre di Aladino fu uscita per andare a fare la spesa Aladino prese la lampada e la strofinò: subito il genio gli si presentò davanti; e, negli stessi termini che abbiamo già detto, gli chiese che cosa avesse da ordinargli, dicendo che era pronto a servirlo. Aladino gli rispose: “Il sultano mi concede la mano della principessa sua figlia, ma mi chiede prima quaranta grandi vassoi d’oro massiccio e ben pesanti, colmi dei frutti del giardino in cui ho preso la lampada della quale sei lo schiavo. Vuole ancora da me che questi quaranta vassoi siano portati da altrettanti schiavi negri, preceduti da quaranta schiavi bianchi, giovani, ben fatti, di bella corporatura e vestiti molto riccamente. Va’, e portami al più presto questi doni affinché io li invii al sultano prima che finisca la seduta del Divano.” Il genio gli disse che il suo ordine sarebbe stato immediatamente eseguito e sparì. Pochissimo tempo dopo, il genio riapparve accompagnato da quaranta schiavi negri, ognuno dei quali portava sulla testa un vassoio d’oro massiccio del peso di venti marchi, pieno di perle, diamanti, rubini e smeraldi scelti meglio, anche per bellezza e grandezza, di quelli che erano già stati offerti al sultano, ogni vassoio era coperto da una tela d’argento a fiori d’oro. Tutti quegli schiavi, negri e bianchi, insieme con i piatti d’oro, occupavano quasi tutta la casa, che era piuttosto piccola, con un piccolo cortile davanti e un giardinetto sul retro. Il genio chiese ad Aladino se fosse contento e se avesse da dargli qualche altro ordine. Aladino gli disse che non aveva bisogno di altro, e subito il genio sparì. La madre di Aladino tornò dal mercato; e, entrando, fu enormemente stupita di vedere tante persone e tante ricchezze. Dopo aver posato le provviste, volle togliersi il velo che le copriva il viso, ma Aladino glielo impedì “Madre mia,” disse, “non c’è tempo da perdere: prima che il sultano tolga la seduta delDivano, dovete ritornare a palazzo e portare subito il dono e la dote della principessa, che egli mi ha richiesto, affinché, dalla mia sollecitudine e dalla mia precisione, si renda conto dello zelo ardente e sincero che ho di procurarmi l’onore di imparentarmi con lui.” Senza aspettare la risposta della madre, Aladino aprì la porta di strada e fece sfilare successivamente tutti questi schiavi, alternando sempre uno schiavo bianco a uno schiavo negro che portava un vassoio d’oro sulla testa, e così fino all’ultimo.

- Fiaberella
Condividi