La fiaba di Aladino e della lampada magica- Parte I

Nella capitale di un regno della Cina, ricchissimo e vastissimo, il cui nome in questo momento mi sfugge, viveva un sarto di nome Mustafà, che altra distinzione non aveva tranne quella datagli dal suo mestiere. Mustafà il sarto era poverissimo, e il suo lavoro gli procurava a malapena lo stretto necessario per far vivere lui, sua moglie e un figlio che Dio gli aveva mandato. Il figlio, che si chiamava Aladino, era stato educato in maniera molto trascurata, e questo lo aveva spinto a prendere cattive abitudini. Era ribelle, testardo, disubbidiente con il padre e con la madre. Appena ebbe raggiunto l’età della ragione, i suoi genitori non riuscirono più a trattenerlo in casa; usciva la mattina e passava le giornate a giocare nelle strade e nelle pubbliche piazze, in compagnia di piccoli vagabondi anche più giovani di lui. Appena fu in età di imparare un mestiere, suo padre, che non era in condizione di insegnargliene un altro diverso dal suo, lo prese nella sua bottega e cominciò a mostrargli come doveva maneggiare l’ago,ma né con la dolcezza né con la minaccia di alcun castigo gli fu possibile rendere attenta la volubile mente del figlio: non riuscì a costringerlo a frenarsi e a diventare assiduo e attaccatoal lavoro, come sperava. Appena Mustafà gli girava le spalle, Aladino se ne scappava senza tornare più per tutto il giorno. Il padre lo puniva; ma Aladino era incorreggibile, e, con grande rammarico, Mustafà fu costretto adabbandonarlo al suo vagabondaggio. Questo lo fece soffrire molto; e il dolore di non poter far tornare il figlio al proprio dovere gli causò una malattia così ostinata, che dopo qualche mese ne morì. La madre di Aladino, vedendo che il figlio non prendeva la via di imparare il mestiere di suo padre, chiuse la bottega e, con il denaro ricavato dalla vendita di tutti gli arnesi del mestiere, insieme con quel poco che guadagnava filando il cotone, provvedeva a mantenere sé stessa e il figlio. Aladino, che non era più trattenuto dal timore del padre e si preoccupava così poco della madre che aveva perfino il coraggio di minacciare alla minima rimostranza che lei gli faceva, si abbandonò allora a un pieno vagabondaggio. Frequentava sempre più i ragazzi della sua età e non smetteva di giocare con loro, con più accanimento di prima.

Continuò questo tipo di vita fino all’età di quindici anni, senza sentire interesse per niente, e senza riflettere a cosa sarebbe stato un giorno di lui. Era in questa situazione, quando un giorno, mentre giocava in mezzo a una piazza con un gruppo di vagabondi, come era solito fare, uno straniero che passava per quella piazza si fermò a guardarlo. Questo straniero era un famoso mago, che gli autori di questa storia chiamano mago africano: così lo chiameremo, tanto più volentieri in quanto era davvero nato in Africa ed era arrivato solo da due giorni. Forse perché il mago africano, che s’intendeva di fisionomie, aveva notato sul viso di Aladino tutto ciò che era assolutamente necessario del piano che costituiva il motivo del suo viaggio, o per qualche altra ragione, si informò abilmente della sua famiglia, di chi fosse e delle sue inclinazioni. Quando ebbe saputo tutto quello che voleva, si avvicinò al giovanetto; e, tirandolo in disparte a qualche passo dai suoi compagni, gli chiese: “Figlio mio, vostro padre è per caso Mustafà il sarto?” “Sì signore,” rispose Aladino; “ma è morto da molto tempo.” A queste parole, il mago africano si gettò al collo di Aladino, lo abbracciò e lo baciò più volte, con le lacrime agli occhi ed emettendo sospiri. Aladino, notando le sue lacrime, gli chiese perché piangesse. “Ah! figlio mio,” esclamò il mago africano, “come potrei farne a meno? Io sono vostro zio, e vostro padre era il mio buon fratello. Sono in viaggio da molti anni e, nel momento in cui arrivo qui con la speranza di rivederlo e dargli la gioia del mio ritorno, voi mi dite che è morto. Vi assicuro che è un gran dolore per me vedermi privato della consolazione che mi aspettavo. Ma in parte il mio dolore è alleviato dal fatto che, per quanto posso ricordarmene, io riconosco i suoi lineamenti sul vostro viso, e vedo che non mi sono ingannato rivolgendomi a voi.” Chiese ad Aladino, portando la mano alla borsa, dove abitasse sua madre. Subito Aladino rispose alla sua domanda, e allora il mago africano gli diede una manciata di spiccioli, dicendogli: “Figlio mio, andate da vostra madre, presentatele i miei omaggi e ditele che, se il tempo me lo consente, andrò a trovarla domani per avere la consolazione di vedere il posto in cui mio fratello è vissuto per tanto tempo e dove ha finito i suoi giorni.”

Appena il mago africano ebbe lasciato il nipote che si era egli stesso creato, Aladino corse dalla madre, ben felice per il denaro datogli dallo zio. “Mamma,” le disse arrivando “vi prego di dirmi se ho uno zio.” “No, figlio mio,” gli rispose mia madre, “non avete nessuno zio, né da parte del defunto vostro padre, né da parte mia.” “Tuttavia,” rispose Aladino, “ho appena visto un uomo che si dichiara mio zio da parte di mio padre, poiché è suo fratello, a quanto mi ha assicurato; si è anche messo a piangere e ad abbracciarmi quando gli ho dato la notizia che mio padre era morto. E, per dimostrarvi che dico la verità,” aggiunse facendole vedere gli spiccioli che aveva avuti, “guardate che cosa mi ha dato. Mi ha anche incaricato di salutarvi da parte sua e di dirvi che domani, se ne avrà il tempo, verrà a trovarvi, per vedere insieme la casa in cui mio padre è vissuto e morto.” “Figlio mio,” replicò la madre, “è vero che vostro padre aveva un fratello; ma è morto da molto tempo, e non gli ho mai sentito dire che ne avesse un altro.” Non dissero di più sul mago africano. Il giorno dopo, il mago africano si avvicinò una seconda volta ad Aladino, mentre giocava in un’altra parte della città con altri ragazzi. Lo abbracciò, come aveva fatto il giorno prima; e mettendogli due monete d’oro in mano, gli disse: “Figlio mio, portatele a vostra madre; ditele che verrò a trovarla stasera e che compri il necessario per la cena, per mangiare insieme; ma indicatemi prima la strada di casa.” Egli gliela indicò e il mago africano lo lasciò andare. Aladino portò le due monete d’oro alla madre, e, appena le ebbe riferito l’intenzione dello zio, lei uscì per andare a spenderle e tornò con delle buone provviste; e poiché non aveva buona parte del vasellame di cui aveva bisogno, lo chiese in prestito ai vicini. Impiegò tutta la giornata per preparare la cena; e, verso sera, quando tutto fu pronto, disse ad Aladino: “Figlio mio, forse vostro zio non sa dov’è la nostra casa; andategli incontro e, se lo trovate, accompagnatelo qui.” Sebbene Aladino avesse indicato la casa al mago africano, tuttavia stava per uscire quando bussarono alla porta. Aladino aprì e riconobbe il mago africano, che entrò carico di bottiglie di vino e di parecchie qualità di frutta che portava per la cena. Dopo aver messo ciò che portava fra le mani di Aladino, salutò la madre e la pregò di mostrargli il posto che suo fratello Mustafà aveva l’abitudine di occupare sul divano. Lei glielo mostrò; e subito il mago si prosternò e baciò ripetutamente quel posto, con le lacrime occhi, esclamando: “Mio povero fratello! Come sono disgraziato a non essere arrivato in tempo per abbracciarvi ancora una volta prima della vostra morte!” Sebbene la madre di Aladino lo pregasse di farlo, egli non volle mai sedersi in quello stesso posto. “No,” disse, “me ne guarderò bene; ma permettetemi di mettermi qui, proprio di fronte, affinché, se sono privo della soddisfazione di vederlo di persona, come padre di una famiglia che mi è tanto cara, possa almeno fare come se fosse presente. La madre di Aladino non insistette e lo lasciò libero di sedersi dove voleva. Quando il mago africano si fu seduto al posto che aveva scelto, cominciò a conversare con la madre di Aladino. “Mia buona sorella,” le diceva, “non vi stupite di non avermi visto per tutto il tempo che siete stata sposata con mio fratello Mustafà, di felice memoria; ho lasciato da quarant’anni questo paese che è il mio come era quello del defunto mio fratello. Da allora, dopo aver viaggiato nelle Indie in Persia, in Arabia, in Siria, in Egitto, e soggiornato nelle più belle città di quei paesi, passai in Africa dove ho abitato più a lungo. Alla fine, poiché è naturale che l’uomo, per lontano che sia dal suo paese natale, non lo dimentichi mai, così come non dimentica i suoi parenti e quelli che l’hanno allevato, mi è venuto il desiderio tanto forte di rivedere il mio paese e di venire ad abbracciare il mio caro fratello, quando avevo ancora la forza e il coraggio sufficienti per intraprendere un viaggio così lungo, che non ho indugiato a fare i miei preparativi e a mettermi in viaggio. Non vi dico niente di tutto il tempo che ci ho messo, di tutti gli ostacoli che ho incontrato e di tutte le fatiche che ho sopportato per arrivare fin qui; vi dirò solo che niente mi ha tanto mortificato e addolorato, nel corso di tutti i miei viaggi, quanto il venire a sapere della morte di un fratello che avevo sempre amato e amavo con affetto veramente fraterno. Ho notato i suoi lineamenti sul volto di mio vostro figlio, e questo me lo ha fatto distinguere fra tutti gli altri ragazzi con i quali era in compagnia. Egli vi avrà detto in che modo ho avuto la triste notizia che mio fratello non era più al mondo; ma bisogna lodare Dio per tutte le cose. Mi consolo di ritrovarlo in un figlio che ne conserva i lineamenti più notevoli.” Il mago africano, accorgendosi che la madre di Aladino si commuoveva al ricordo del marito, rinnovando il suo dolore, cambiò discorso e, rivolgendosi ad Aladino, gli chiese il suo nome. “Mi chiamo Aladino,” gli rispose. “Ebbene, Aladino,” riprese il mago, “di che cosa vi occupate? Conoscete qualche mestiere?” A questa domanda, Aladino abbassò gli occhi e rimase sconcertato; ma sua madre, rispondendo al suo posto, disse: “Aladino è un fannullone. Suo padre ha fatto tutto il possibile, mentre era in vita, per insegnargli il suo mestiere, e non è potuto giungere a niente. Da quando il padre è morto, nonostante tutto quello ho potuto dirgli e ripetergli ogni giorno, egli non fa altro mestiere salvo quello del vagabondo e passa tutto il tempo a giocare con i ragazzi, come voi avete visto, senza considerare che non è più un bambino; e se voi non gli fate una ramanzina ed egli non ne approfitta, dispero che possa mai valere qualcosa. Egli sa che suo padre non ha lasciato nessun bene; e vede benissimo che, filando cotone per tutto il giorno, come faccio io, a malapena riesco a guadagnare di che procurarci un po’ di pane. Quanto a me, sono decisa a chiudergli la porta in faccia uno di questi giorni, e a mandarlo a cercarne altrove.”

Quando la madre di Aladino ebbe detto queste parole scoppiando a piangere, il mago africano disse ad Aladino: “Questo non sta bene, nipote mio; dovete pensare ad aiutare voi stesso e a guadagnarvi la vita. Ci sono mestieri di ogni tipo; guardate se ce n’è qualcuno al quale siete più portato che agli altri. Forse quello di vostro padre non vi piaceva e vi adattereste meglio a un altro; non dissimulate i vostri sentimenti con me, io cerco solo di aiutarvi.” Vedendo che Aladino non rispondeva, aggiunse: “Se siete contrario a imparare un mestiere, e volete essere un uomo onesto, io vi aprirò una bottega di ricche stoffe e tele fini; vi metterete in condizione di venderle e, con il denaro che guadagnerete, comprerete altre mercanzie, e in questo modo vivrete onorevolmente. Pensateci su e ditemi francamente che cosa ve ne pare; mi troverete sempre pronto a mantenere la mia promessa.” Questa offerta allettò molto Aladino, al quale non piaceva il lavoro manuale, tanto più che gli risultava che le botteghe di questa specie di mercanzie erano eleganti e frequentate, e che i mercanti erano ben vestiti e molto considerati. Dichiarò al mago africano,che lui credeva suo zio, che la sua inclinazione lo portava a questo tipodi lavoro più che a ogni altro, e che gli sarebbe stato riconoscente per tutta la vita del bene che voleva fargli. “Poiché questa professione vi piace,” riprese il mago africano, “domani mattina vi porterò con me, e vi farò vestire con decoro ed eleganza, secondo la condizione di uno dei più importanti mercanti di questa città; e, dopodomani, penseremo ad aprire una bottega come dico io.” La madre di Aladino, che fino ad allora non aveva creduto che il mago africano fosse fratello di suo marito, non ne ebbe più nessun dubbio tutto il bene che egli prometteva di fare a suo figlio. Lo ringraziò delle sue buone intenzioni e dopo aver esortato Aladino a rendersi degno di tutti i beni che suo zio gli faceva sperare, servì la cena. La conversazione si aggirò sullo stesso argomento per tutta la durata della cena, finché il mago, vedendo che la notte era inoltrata, prese congedo dalla madre e dal figlio e si ritirò.

La mattina dopo, il mago africano non mancò di ritornare dalla vedova di Mustafà il sarto, come aveva promesso. Prese Aladino con sé e lo portò da un ricco mercante, che vendeva solo abiti già confezionati di tipo di belle stoffe, per le diverse età e condizioni. Se ne fece mostrare di adatti alla statura di Aladino, e, dopo aver messo da parte tutti quelli che gli piacevano di più e scartato gli altri che non erano belli come voleva, disse ad Aladino: “Nipote mio, scegliete fra tutti questi abiti quello che più vi piace.” Aladino, incantato dalle prodigalità del nuovo zio, ne scelse uno, il mago lo comprò insieme con tutti gli accessori, e pagò il tutto senza mercanteggiare. Quando si vide così splendidamente vestito da capo a piedi Aladino diede allo zio tutti i ringraziamenti immaginabili; e il mago gli promise ancora una volta di non abbandonarlo e di tenerlo sempre con sé. Infatti, lo portò nei posti più frequentati della città, soprattutto in quelli dove si trovavano le botteghe dei ricchi mercanti; e,arrivati nella via dove c’erano le botteghe delle più ricche stoffe e di tele fini disse ad Aladino: “Poiché sarete presto mercante come questi che vedete, è bene che voi li frequentiate e che essi vi conoscano.” Gli fece anche vedere le moschee più belle e più grandi lo portò nei «khan» dove alloggiavano i mercanti stranieri, e in tutti i posti del palazzo del sultano dov’era consentito entrare. Infine,dopo aver percorso insieme tutti i bei luoghi della città, arrivarono nel khan dove il mago aveva preso un appartamento. Trovarono alcuni mercanti con i quali aveva cominciato a fare amicizia dopo il suo arrivo e che aveva espressamente riuniti per offrire loro un buon banchetto e, nello stesso tempo, presentare loro il suo preteso nipote.

Il banchetto finì solo verso sera. Aladino volle congedarsi dallo zio per tornarsene a casa; ma il mago africano non volle lasciarlo andar solo e lo riaccompagnò dalla madre. Appena la donna vide suo figlio così ben vestito, fu estasiata dalla gioia; e non smetteva di rivolgere mille benedizioni al mago che aveva sostenuto una così forte spesa per suo figlio. “Generoso parente,” gli disse, “non so come ringraziarvi per la vostra prodigalità. Io so che mio figlio non merita il bene che gli fate e che sarebbe assolutamente indegno se non vi sarà riconoscente e se trascurerà di rispondere alla buona intenzione che avete di dargli una professione così dignitosa. Quanto a me,” aggiunse, “ve ne ringrazio ancora di tutto cuore, e vi auguro una vita abbastanza lunga da poter essere testimone della riconoscenza di mio figlio, che non può dimostrarvela meglio se non comportandosi secondo i vostri buoni consigli.” “Aladino,” rispose il mago africano, “è un buon ragazzo, mi sta abbastanza a sentire, e credo che ne faremo qualcosa di buono. Mi dispiace solo di non poter fare domani quello che gli avevo promesso. E’ venerdì, le botteghe saranno chiuse e non sarà possibile prenderne una in affitto e arredarla, mentre i mercanti penseranno solo a divertirsi. Perciò rimanderemo la cosa a sabato, ma domani verrò a prenderlo per portarlo a passeggio nei giardini dove il bel mondo è solito incontrarsi. Forse non ha ancora visto come ci si diverte lì. Finora ha frequentato solo dei bambini, deve vedere degli uomini.” Il mago africano prese congedo dalla madre e dal figlio, e se ne andò. Intanto Aladino, che era già molto contento vedendosi così ben vestito, pregustò anche la gioia della passeggiata nei giardini appena fuori della città. Infatti, non era mai uscito dalle porte e non aveva mai visto i dintorni, che erano molto belli e ridenti.

Il giorno dopo, Aladino si alzò e si vestì di buon mattino, per essere pronto a uscire quando lo zio sarebbe venuto a prenderlo. Dopo un’attesa che gli sembrò molto lunga, l’impazienza lo spinse ad aprire la porta e a restare sulla soglia per vedere se stesse arrivando. Appena lo vide avvertì la madre; e, salutandola, chiuse la porta e corse verso di lui per raggiungerlo. Il mago africano fece molta festa ad Aladino, quando lo vide. “Andiamo, caro ragazzo,” gli disse con aria sorridente, “oggi vi farò vedere delle belle cose.” Lo fece uscire da una porta della città che portava a delle case belle e grandi, o meglio a magnifici palazzi, ognuno dei quali aveva bellissimi giardini il cui ingresso era libero. A ogni palazzo che incontravano, il mago chiedeva ad Aladino se gli sembrasse bello; e Aladino, prevenendolo appena ne vedeva un altro, diceva: “Zio, questo è più bello di quelli che abbiamo già visti.” Intanto, continuavano a inoltrarsi sempre più nella campagna; e l’astuto mago, che voleva spingersi più lontano per mettere in atto il disegno che aveva in mente, colse l’occasione per entrare in uno di questi giardini. Si sedette accanto a una grande fontana, la cui acqua limpidissima scorreva da una bocca di leone di bronzo, e finse di essere stanco per far riposare Aladino. “Nipote mio,” gli disse, “dovete essere stanco come lo sono io; riposiamoci qui per riprendere le forze; avremo più animo per continuare la nostra passeggiata.” Quando si furono seduti, il mago africano tirò fuori da un panno legato alla sua cintura dei dolci e parecchie qualità di frutta di cui aveva fatto provvista, e lo stese sull’orlo della vasca. Divise un dolce a metà con Aladino e, quanto alla frutta, lo lasciò libero di scegliere quella che più gli piaceva. Durante questa merendina, diede al preteso nipote molti consigli che tendevano a esortarlo a staccarsi dalla compagnia dei ragazzi e ad avvicinarsi piuttosto agli uomini saggi e prudenti, ad ascoltarli e ad avvalersi dei loro discorsi. “Tra non molto sarete uomo come loro,” gli diceva, “e non sarà mai troppo presto perché vi abituiate a dire cose sagge, seguendo il loro esempio.” Quando ebbero finito di mangiare, si alzarono e ripresero a passeggiare attraverso i giardini che erano separati gli uni dagli altri soltanto da fossatelli che ne segnavano i limiti, ma che non impedivano il passaggio. La buona fede faceva sì che i cittadini di quella capitale non prendessero precauzioni più grandi per impedire di nuocersi a vicenda. A poco a poco, il mago africano portò Aladino molto lontano, oltre i giardini, e gli fece attraversare dei campi che lo portarono quasi vicino alle montagne. Aladino, che in vita sua non aveva mai percorso tanta strada, si sentì stanchissimo di una così lunga passeggiata. “Zio,” disse al mago africano, “dove andiamo? Abbiamo lasciato i giardini molto dietro di noi, e vedo solo montagne. Se andiamo ancora avanti, non so se avrò la forza sufficiente per ritornare fino in città.” “Fatevi coraggio, nipote mio,” gli disse il falso zio, voglio farvi vedere un altro giardino che supera tutti quelli che avete visto fino ad ora; non è lontano da qui, sono soltanto pochi passi; e, quando vi saremo arrivati, voi stesso mi direte se non vi sarebbe dispiaciuto di non averlo visto, dopo esserci arrivato tanto vicino. Aladino si lasciò convincere, e il mago lo fece camminare ancora a lungo, raccontandogli diverse storie divertenti, per rendergli la strada meno noiosa e la stanchezza più sopportabile.

Arrivarono infine fra due montagne, non molto alte e quasi uguali separate da una valle molto stretta. Era questo il fatidico posto dove il mago aveva voluto portare Aladino per attuare di un grande progetto che l’aveva fatto venire dall’estremità dell’Africa fino in Cina. “Ci fermiamo qui,” disse ad Aladino, “voglio farvi vedere delle cose straordinarie e sconosciute a tutti i mortali; e, quando le avrete viste, mi ringrazierete di essere stato testimone di tante meraviglie che nessuno, tranne voi, avrà viste. Mentre io batto,raccogliete i fuscelli più secchi che troverete per accendere il fuoco. C’era una così grande quantità di sterpaglia, che Aladino ne raccolse presto un mucchio più che sufficiente, mentre il mago accendeva l’esca. Vi diede fuoco e,nell’istante in cui la sterpaglia s’infiammò, il mago africano vi gettò sopra un profumo che aveva già pronto. S’innalzò un fumo molto denso, che egli sventolò da un lato e dall’altro, pronunciando delle magiche parole, di cui Aladino non capì niente. Nello stesso momento, la terra tremò un po’ e si spalancò in quel punto, davanti al mago e ad Aladino, mettendo allo scoperto una pietra quadrata di circa un piede e mezzo di lato e profonda circa un piede, sistemata orizzontalmente con un anello di bronzo conficcato nel mezzo che serviva per sollevarla. Aladino, spaventato da tutto quello che succedeva sotto i suoi occhi, avrebbe voluto fuggire. Ma egli era necessario a quel mistero, e il mago lo trattenne e lo sgridò severamente, dandogli uno schiaffo appioppato con tanta forza, che lo gettò a terra e per poco non gli fece conficcare i denti nelle labbra, come sembrò dal sangue che ne usciva. Il povero Aladino, tutto tremante e con le lacrime agli occhi, esclamò piangendo: “Zio, che cosa ho fatto, dunque, per aver meritato che mi colpiate così brutalmente?” “Ho le mie ragioni per farlo,” rispose il mago. “Io sono vostro zio, che ora vi fa da padre, e voi non dovete replicare. Ma, figlio mio,” aggiunse calmandosi, “non avete niente da temere: vi chiedo solo di ubbidirmi esattamente, se volete approfittare e rendervi degno dei grandi favori che voglio farvi.” Queste belle promesse del mago calmarono un po’ la paura e il risentimento di Aladino; e, quando il mago lo vide completamente rassicurato, continuò: “Avete visto che cosa ho fatto in virtù del mio profumo e delle parole che ho pronunciato. Ora dovete sapere che, sotto questa pietra che vedete, è nascosto un tesoro che vi è destinato e che un giorno vi renderà più ricco del più grande re della terra. Questo è così vero, che a nessuno mondo fuorché a voi è permesso toccare questa pietra e sollevarla per entrare: anche a me è proibito toccarla e mettere piede nel nascondiglio del tesoro, quando sarà stato aperto. Perciò è necessario che voi eseguiate alla lettera quello che vi dirò, senza sbagliare: la cosa è della massima importanza, sia per voi che per me. Aladino, sempre in preda allo stupore per ciò che vedeva e per tutto aveva sentito dire dal mago su quel tesoro che avrebbe dovuto renderlo per sempre felice, dimenticò tutto quanto era successo. “Ebbene! zio,” disse al mago alzandosi, “di che si tratta? Ordinate, sono prontissimo a ubbidirvi.” “Sono felice, figlio mio,” gli disse il mago africano abbracciandolo, “che abbiate scelto questo partito; venite, avvicinatevi, prendete quest’anello e sollevate la pietra.” “Ma, zio,” riprese Aladino, “io non sono abbastanza forte da sollevarla; bisogna che mi aiutiate.” “No,” replicò il mago africano, “non avete bisogno del mio aiuto; e, se vi aiutassi, non combineremmo niente né voi né io; dovete sollevarla da solo. Pronunciate solo il nome di vostro padre e di vostro nonno, tenendo l’anello, e tirate: vedrete che la pietra si solleverà senza fatica.” Aladino fece come gli aveva detto il mago: sollevò la pietra con facilità e la posò lì accanto.

Quando la pietra fu tolta, apparve un sotterraneo profondo tre o quattro piedi, con una porticina e dei gradini per scendere più in basso. “Figlio mio,” disse allora il mago africano ad Aladino, “fate esattamente tutto quello che sto per dirvi. Scendete nel sotterraneo: quando sarete in fondo alla scala che vedete, troverete una porta aperta attraverso la quale entrerete in una grande stanza a volta, divisa in tre grandi sale, una dopo l’altra. In ognuna vedrete, a destra e a sinistra, quattro vasi di bronzo grandi come tini, pieni d’oro e d’argento; ma guardatevi bene dal toccarli. Prima di entrare nella prima sala, sollevatevi il vestito e stringetelo bene intorno alla vita. Quando vi sarete entrato, passate nella seconda sala senza fermarvi e poi nella terza, sempre senza fermarvi. Soprattutto state attento a non avvicinarvi ai muri e a non sfiorarli nemmeno con il vostro vestito, infatti, se li toccaste, morireste immediatamente; perciò vi ho detto di tenerla stretta intorno al corpo. In fondo alla terza sala c’è una porta attraverso la quale entrerete in un giardino pieno di begli alberi, tutti carichi di frutti; camminate diritto e attraversate questo giardino passando per un sentiero che vi porterà a una scala di cinquanta gradini, che arriva a una terrazza. Quando sarete sulla terrazza,vedrete davanti a voi una nicchia e, nella nicchia, una lampada accesa. Prendete la lampada,spegnetela; e, quando avrete gettato il lucignolo e versato il liquido che contiene, mettetevela in seno e portatemela. Non temete di macchiarvi il vestito: il liquido non è olio, e la lampada si asciugherà appena l’avrete svuotata. Se i frutti del giardino vi fanno gola, potete coglierne quanti ne volete; questo non vi è proibito.” Dette quelle parole, il mago africano prese un anello che aveva a dito e lo mise al dito di Aladino, dicendogli che serviva a proteggerlo contro tutto quello che poteva capitargli di male, purché avesse osservato attentamente quello che gli aveva ordinato. “Andate, figlio mio,” gli disse dopo avergli dato quelle istruzioni, “scendete con coraggio; tra poco saremo entrambi ricchi per tutta la vita.”

Aladino saltò con agilità nel sotterraneo e scese fino in fondo ai gradini: trovò le tre sale di cui il mago africano gli aveva fatto la descrizione. Le attraversò con precauzione tanto maggiore in quanto temeva di morire se non avesse accuratamente osservato ciò che gli era stato prescritto. Attraversò il giardino senza fermarsi, salì sulla terrazza, prese la lampada accesa dalla nicchia, gettò il lucignolo e il liquido; poi, vedendola asciutta, se la mise in seno. Scese dalla terrazza e si fermò nel giardino ad ammirarne i frutti, che prima visto solo di sfuggita. Tutti gli alberi del giardino erano carichi di frutti straordinari. Ogni albero ne aveva di diversi colori: ce n’erano di bianchi; di lucenti e trasparenti come il cristallo;di rossi; alcuni più scuri, altri meno; di verdi, di azzurri, di viola, e alcuni che tendevano al giallo; e di molti altri colori. Quelli bianchi erano perle; quelli lucenti e trasparenti, diamanti; quelli rossi più scuri, rubini; quelli meno scuri, rubini balasci; quelli verdi, smeraldi; quelli azzurri, turchesi; quelli viola, ametiste; quelli che tendevano al giallo, zaffiri; e così di seguito. E questi frutti erano tutti di una grandezza e di una perfezione come non si era ancora visto al mondo. Aladino, che non ne conosceva né il pregio né il valore, non fu colpito dalla vista di frutti, che non erano di suo gusto come lo sarebbero stati i fichi, l’uva e l’altra eccellente frutta che è comune nella Cina. Non aveva ancora l’età per conoscerne il pregio; pensò che tutti questi frutti fossero solo dei vetri colorati e non valessero di più. Tuttavia, la diversità di tanti bei colori, la bellezza e la grandezza straordinaria di ogni frutto gli diedero il desiderio di coglierne di ogni tipo. Infatti, ne prese parecchi di ogni colore, e se ne riempì due tasche e le due borse nuovissime comprategli dal mago insieme con il vestito che gli aveva regalato per non fargli indossare niente che non fosse nuovo. E, poiché le due borse non entravano nelle sue tasche già piene, se le legò alla cintura, una su ogni fianco; mise anche dei frutti nelle pieghe della cintura che era di seta, ampia e avvolta parecchie volte intorno alla vita, e li sistemò in modo che non potessero cadere; non dimenticò neppure di mettersene in petto, tra il vestito e la camicia, intorno al corpo. Aladino, così carico, senza saperlo, di tante ricchezze, riprese in fretta la strada delle tre sale per non far attendere troppo a lungo il mago africano; e, dopo averle attraversate con la stessa precauzione di prima, risalì da dove era sceso e si presentò all’ingresso del sotterraneo, dove il mago africano lo aspettava con impazienza. Appena Aladino lo vide, gli disse: “Zio, vi prego di darmi la mano per aiutarmi a salire.” Il mago africano gli rispose: “Figlio mio, datemi prima la lampada; essa potrebbe darvi fastidio.” “Scusate, zio,” riprese Aladino, “essa non mi dà fastidio, ve la darò appena sarò salito.” Il mago africano si ostinò a volere che Aladino glinmettesse la lampada fra le mani prima di tirarlo fuori dal sotterraneo; e Aladino, che aveva messo sopra alla lampada tutti i frutti di cui si era imbottito in ogni parte, rifiutò assolutamente di dargliela finché non fosse uscito dal sotterraneo. Allora il mago africano, esasperato dalla resistenza del ragazzo, fu preso da una furia spaventosa: gettò un po’ del suo profumo sul fuoco che aveva avuto cura di mantenere acceso, e, appena ebbe pronunciato due parole magiche, la pietra che serviva a chiudere l’entrata del sotterraneo si mise da sola al suo posto, con la terra sopra, nella stessa posizione in cui era all’arrivo del mago africano e di Aladino.

E’ certo che il mago africano non era fratello di Mustafà il sarto, come si era voluto far credere, né, di conseguenza, zio di Aladino. Era veramente africano e in Africa era nato, e poiché quello è un paese in cui si è appassionati di magia più che in ogni altro paese, egli vi si era dedicato fin dalla gioventù e, dopo circa quarant’anni di incantesimi, di operazioni di geomanzia, di fumigazioni e di lettura di libri di magia, era infine arrivato a scoprire che al mondo esisteva una lampada meravigliosa il cui possesso lo avrebbe reso più potente di qualsiasi sovrano dell’universo, se fosse riuscito a entrarne in possesso. Con un’ultima operazione di geomanzia, aveva saputo che questa lampada si trovava in un posto sotterraneo al centro della Cina, nel luogo e con tutte le circostanze che abbiamo raccontato. Totalmente convinto della verità di questa scoperta, era partito dall’estremità dell’Africa, come abbiamo detto; e, dopo un viaggio lungo e faticoso, era arrivato nella città tanto vicina al tesoro, ma, sebbene la lampada fosse sicuramente nel posto che lui conosceva, tuttavia non gli era permesso di prenderla personalmente, né di entrare personalmente nel sotterraneo dove essa si trovava. Era necessario che un altro vi scendesse, andasse a prenderla e gliela mettesse fra le mani. Perciò si era rivolto ad Aladino, che gli era sembrato un ragazzo sprovveduto e adattissimo a rendergli il servigio che si aspettava da lui; e era ben deciso, appena avesse avuto la lampada tra le mani, a fare l’ultima fumigazione che abbiamo detto e a pronunciare le due parole magiche che dovevano avere l’effetto che abbiamo visto, e sacrificare il povero Aladino alla propria cupidigia e alla propria malvagità, così da non avere testimoni. Lo schiaffo dato ad Aladino e l’autorità che aveva preso su di lui altro scopo non avevano se non quello di abituarlo a temerlo e a ubbidirlo esattamente, affinché, quando gli avesse chiesto di dargli la famosa lampada magica, egli gliela consegnasse subito. Ma accadde tutto il contrario di quanto si era proposto. Insomma, egli ricorse alla sua malvagità con tanta precipitazione per sbarazzarsi del povero Aladino, solo perché temeva che, se avesse discusso ancora con lui, qualcuno avrebbe potuto sentirli e rendere pubblico quello che lui voleva tenere ben segreto. Quando il mago africano vide le sue grandi e belle speranze fallite per sempre, altro non poté fare se non tornarsene in Africa, e partì lo stesso giorno. Passò per vie traverse, per non rientrare nella città da cui era uscito con Aladino. Aveva paura, infatti, di essere notato da parecchie persone che potevano averlo visto passeggiare con il ragazzo e ritornare solo. Secondo tutte le apparenze, non si sarebbe più dovuto parlare di Aladino; ma proprio quello che aveva creduto di rovinarlo per sempre, aveva dimenticato di avergli messo al dito un anello che poteva servire a salvarlo.

Infatti, questo anello fu la salvezza di Aladino, che non ne conosceva affatto la virtù e c’è da stupirsi che la perdita dell’anello, aggiunta a quella della lampada, non abbia ridotto quel mago all’estrema disperazione. Ma i maghi sono così abituati alle disgrazie e agli avvenimenti contrari ai loro desideri,che non smettono, per tutta la loro vita, di nutrirsi di fumigazioni, di chimere e di visioni.

- Fiaberella
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