La storia di Ala-ed-Din, figlio di Shams-ed-Din-Parte II

Così Alà ed-Din uscì nella notte e si avvio per la città deserta. A un certo punto arrivò davanti alla porta di una moschea e, non sapendo dove andare, entrò pensando di passarvi la notte. Ma ecco che vide arrivare verso di lui due mercanti, uno vecchio e l’altro giovane, accompagnati da due schiavi che reggevano dei lumi. Il più anziano dei due, dopo avere osservato attentamente Alà ed-Din gli disse: ” La pace sia su di te! Sei straniero, ragazzo mio? “
” Sono egiziano, ” rispose Alà ed-Din, ” mio padre è Shams ed-Din, capo dei mercanti del Cairo. Io ero in viaggio verso questa città con un carico di mercanzie quando sono stato assalito dai beduini, che mi hanno spogliato di ogni cosa. Così, non sapendo dove andare, mi sono rifugiato in questa moschea per passare la notte. ” ” Sia benedetto Allah che ti ha messo sul nostro cammino! ” esclamò il vecchio. ” Figlio mio, ti., andrebbe di guadagnare mille dinar, più un vestito che ne vale altri mille e una mula che vale pure mille dinar? ” ” E che cosa dovrei fare per tutto questo? ” chiese Alà ed-Din. ” Sappi, ragazzo mio, ” cominciò a spiegare il vecchio, ” sappi che questo giovane è figlio di un mio fratello, e che io l’ho fatto sposare qualche tempo fa con la mia unica figlia che ha nome Zubaida. Ora, giorni fa è accaduto che costui, in un momento d’ira, pronunciasse contro la moglie, per tre volte, la formula del ripudio. Zubaida, che non può sopportare costui, lo prese in parola, si velò il volto, poiché da quel momento il marito era diventato per lei un estraneo, e se ne andò da casa. Questi pentito del suo gesto, è venuto poi da me a chiedermi di ridargli indietro la moglie. Ma come tu sai la legge musulmana prescrive che un uomo non possa riprendersi indietro la moglie che ha ripudiato, a meno che questa non abbia contratto un nuovo matrimonio e sia stata ripudiata dal nuovo marito. Ora, se tu sei d’accordo, andremo dal cadì,1 stipuleremo un contratto di nozze, tu passerai la nottata con Zubaida e domani mattina sul far del giorno la ripudierai. Poichè sei straniero e nessuno ti conosce, la cosa rimarrà segreta fra te, noi e il cadì e non vi sarà scandalo. Tuttavia, se domani rifiuterai di ripudiare tua moglie, dovrai sborsare una dote di diecimila dinar “.
Dopo avere ascoltato questa proposta, Alà ed-Din pensò fra sé: ” Passare la notte facendo all’amore, al coperto e su un buon letto, è sempre meglio che passarla per la strada. In più, domani mattina mi troverò in tasca mille dinar, un vestito e una mula. L’affare mi sembra vantaggioso. ” Alà ed-Din disse che accettava, e subito lui e il vecchio si recarono dal cadì, che stese il contratto di nozze. Ciò fatto, il vecchio mercante e Alà ed-Din andarono in casa della donna divorziata e il padre, entrato nelle stanze della figlia, disse a costei: ” Figlia mia, ti ho trovato per marito un bel giovane chiamato Alà ed-Din, trattalo con cortesia e passa con lui una bella nottata. Questo è il contratto di nozze. ” Quindi il vecchio andò a raggiungere Alà ed-Din e lo pregò di aspettare nel vestibolo fintanto che la figlia non si fosse preparata per riceverlo. Ciò detto se ne andò.
Nel frattempo, il marito di Zubaida si era recato a trovare la sua vecchia balia, una donna assai scaltra, e le aveva detto: ” Madre mia, inventa qualche astuzia affinchè Zubaida e questo giovane non giacciano insieme questa notte. ” ” Nulla di più facile! ” disse la vecchia. E, copertosi il volto con il velo, se ne andò difilato alla casa di Zubaida, dove, nel vestibolo, incontrò Alà ed-Din. ” Ho portato le medicine per la giovane divorziata, povera ragazza! ” disse la vecchia. ” A che servono queste medicine? ” chiese Alà ed-Din. ” La povera giovane, ” rispose la vecchia, ” è afflitta dalla lebbra, e io spero, con questi unguenti, di riuscire un giorno o l’altro a guarirla. ” ” Afflitta dalla lebbra? ” esclamò Alà ed-Din. ” E io che dovevo giacere con lei questa notte! ” ” Allah ti preservi! ” esclamò la scaltra vecchia. ” Se ti è cara la purezza del tuo corpo, ti consiglio di non farlo. ” E detto questo la vecchia entrò nelle stanze di Zubaida, alla quale tenne più o meno lo stesso discorso.
Allora Zubaida disse che non voleva avere alcun contatto con quel giovane e che avrebbe preferito morire piuttosto che contagiarsi con la lebbra. Chiamò una schiava e le ordinò di portare da mangiare al giovane che era nel vestibolo lasciandolo dove si trovava. Alà ed-Din mangiò quello che la schiava gli portò; quindi, non vedendo comparire nessuno, per ingannare il tempo, si mise a recitare, con la sua voce fresca ed armoniosa, una sura del Corano. Udendo quella voce, Zubaida tese l’orecchio e pensò in cuor suo: ” Quella vecchia della malora mi ha ingannato. Come può un lebbroso avere una voce simile? Per Allah, voglio vedere questo giovane e introdurlo presso di me. ” Ciò detto, scostò la tenda e si affacciò alla stanza dove stava Alá ed-Din, e gli fece cenno di seguirla e lo precedette nella camera da letto ondeggiando le anche in un modo tale da far rizzare in piedi anche un vecchione’. Guardandola, Alà ed-Din si sentì rimescolare il sangue, perché Zubaida era bella come la luna piena, flessuosa come un ramo di salice, profumava d’ambra e aveva uno sguardo di gazzella. Ciò non di meno, quando ella gli andò vicino, Alà ed-Din le disse: ” Allontanati da me perché non voglio contagiarmi con la lebbra. ” Allora Zubaida, dopo essersi scoperto un braccio, che era bianco e puro come l’argento, gli disse: ” Allontanati tu, piuttosto, che sei lebbroso. ” ” Chi te lo ha detto? ” fece Alà ed-Din. ” La vecchia. ” ” E a me la vecchia ha detto la stessa cosa di te. ” Allora Alà ed-Din si aprì la veste e le mostrò il suo corpo che era come argento puro, ed ella fece altrettanto, e si coricò sul letto attirandolo a sé. Così Alà ed-Din, accompagnando per mano il suo bambino, a passare per la Porta dei Trionfi, per la Porta del Pelo, per la Porta delle Vittorie, e lo condusse a visitare il suk del lunedì, e quello del martedì, del mercoledì, del giovedì, dove trovò che il tappeto era della dimensione giusta della sala, quasi che l’architetto avesse preso la misura delle due cose.
Quando venne il mattino, Alà ed-Din disse alla fanciulla: ” Zubaida, cuore mio, purtroppo devo abbandonarti! ” ” Che cosa significa tutto questo? ” ” Significa, ” rispose Alà ed-Din, ” che tuo padre mi ha fatto firmare un contratto per cui, o io ti ripudio questa mattina in modo che tuo marito possa risposarti, oppure dovrò darti una dote di diecimila dinar, che purtroppo in questo momento non posseggo. ” Zubaida rimase un istante soprappensiero poi disse: ” Signore mio, dopo questa notte, per nulla al mondo mi separerò da te. Fa’ come ti dico e vedrai che tutto andrà bene. ” ” Sì, ma io non ho i denari, ” disse Alà ed-Din. ” Non preoccuparti, ” disse Zubaida. ” Quando ti chiameranno, tu va’ dal cadì e digli che non vuoi più ripudiarmi. Poi digli che non hai i denari per pagare la donazione e chiedi qualche giorno di respiro. Il cadì è un brav’uomo, e poi gli piacciono molto i bei ragazzi. Tu,lanciagli qualche occhiata assassina, in modo che quello si senta sdilinquire tutto, e vedrai che ti accorderà ciò che chiederai. Per essere più sicuri, prendi questi cento dinar, è tutto quello che mio padre mi ha lasciato, e non dimenticare di fare qualche regalo al cadì e ai suoi assistenti. Poi, Allah provvederà ai nostri bisogni. ” E così fu fatto. Quando il messo del cadì venne a chiamare Alà ed-Din, questi gli regalò cinque dinar e gli spiegò il caso suo, e il messo gli diede perfettamente ragione, dicendogli che nessuna legge musulmana poteva obbligarlo a ripudiare la propria moglie e aggiungendo che avrebbe perorato per lui davanti al cadì. Così Alà ed-Din, accompagnato dal messo, si recò in tribunale; quivi giunto, Alà ed-Din si gettò in ginocchio davanti al cadì e gli prese la mano, sulla quale depose un bacio e cinquanta dinar, quindi fra un’occhiata e l’altra, che avrebbero fatto liquefare anche un santo, gli espose il suo caso. Dopo avere ascoltato, il cadì sentenziò: ” Secondo le leggi musulmane, nessuno può essere obbligato a ripudiare la propria moglie. Perciò noi assegnamo a questo giovane dieci giorni di tempo per pagare il suo debito. ” E fra sé e sé il cadì pensò: ” Per Allah, questo bel giovane val bene diceimila dinar. Sarei ben lieto di darglieli io, se egli acconsentisse. “
Così Alà ed-Din uscì dal tribunale e comperò tutto quanto occorreva per la cena; poi tornò dalla moglie e le raccontò quello che era successo. Mangiarono e bevvero e fecero all’amore. E quando furono sazi dell’una e dell’altra cosa Alà ed-Din chiese a Zubaida di fargli sentire un po’ di musica. Zubaida prese il liuto e cominciò a cantare con voce dolcissima una . canzone. Suonava così bene che avrebbe fatto ballare le rocce e avrebbe costretto gli uccelli ad arrestare il loro volo nel profondo del cielo per ascoltare la sua musica.
Mentre stavano dilettandosi in tal modo, sentirono bussare alla porta di casa. Alà ed-Din andò ad aprire e trovò quattro dervisci. ” Che cosa volete? ” chiese.
” Signore, ” risposero quelli, ” siamo quattro dervisci e veniamo da paesi stranieri. Abbiamo sentito uscire da questa casa una musica meravigliosa, e c la musica e i versi sono l’alimento del nostro spirito, ti chiediamo di concederci ospitalità per questa notte, e domani mattina ce ne andremo per la nostra strada. “
Alà ed-Din li fece entrare e li accolse onorevolmente, offrendo loro cibi e bevande. Ma uno dei dervisci disse: ” Per Allah, solo i bruti si preoccupano del cibo. A noi basta alimentare lo spirito con musica e canti raffinati. Ma dicci, chi era che suonava il liuto così bene? forse una suonatrice di professione? “
Alà ed-Din disse loro che era sua moglie e raccontò tutta la storia del contratto di nozze e dei diecimila dinar. Allora il derviscio che aveva parlato per ultimo disse: ” Figlio mio, non ti affliggere. Sappi che io sono il capo di una comunità di quaranta dervisci. Grazie ad Allah, noi ce la passiamo abbastanza bene. Così raccoglierà per te fra i miei fratelli diecimila dinar e te li farò avere entro dieci giorni. Ma adesso ti prego, va’ a dire alla tua sposa che suoni e canti dietro la tenda per rallegrarci lo spirito; infatti la musica è per alcuni un alimento, per altri un farmaco, per altri ancora è un refrigerio simile a un ventaglio; per noi è tutte e tre le cose insieme.”
Ora bisogna sapere che quei quattro dervisci altri non erano che il califfo Harùn ar-Rashìd, il suo visir Giàafar el-Barmaki, il poeta Abu Nuwàs al-Hasan ibn Hani e Masrùr il carnefice, i quali si erano trovati a passare di notte accanto a quella casa perché il califfo, sentendosi irrequieto e non riuscendo a dormire, aveva detto al visir Giàafar: ” Poiché il sonno non viene a trovarci, desideriamo uscire e andare in giro per la città. ” Così tutti e quattro si, erano travestiti da dervisci e se ne erano andati a spasso per Baghdad. Passando vicino alla casa di Alà ed-Din avevano sentito la musica e avevano desiderato sapere chi fosse l’eccezionale suonatrice.
Trascorsero lietamente, come si è detto, la nottata e al mattino se ne andarono, ma prima di partire il califfo mise cento dinar sotto il tappeto; quindi presero congedo e se ne andarono per la loro strada. Quando Zubaida sollevò il tappeto, trovò i cento dinar e disse ad Alà ed-Din: ” Guarda cosa ho trovato sotto il tappeto! Devono averceli messi quei dervisci prima di andarsene. ” Alà ed-Din prese i denari e andò al mercato a comperare riso, carne d’agnello, fagioli, melanzane, burro e tutto quanto occorreva per il desinare.
La sera Alà ed-Din accese i lumi e disse alla moglie: ” I dervisci non sono venuti a portare i diecimila dinar che avevano promesso; è chiaro che sono povera gente e non hanno di che far fronte alle loro promesse. ” Ma, mentre parlava cosi, ecco che i dervisci bussarono alla porta. Alà ed-Din aprì, li introdusse e domandò loro: ” Mi avete portato i diecimila dinar? ” E quelli risposero: ” Ancora non siamo riusciti a procurarceli, però tu non avere alcuna preoccupazione. Domani, con l’aiuto di Allah, sarai servito. Ora di’ a tua moglie che ci suoni un po’ di musica per rinfrancare i nostri cuori. ” E Zubaida intrattenne con il suo liuto i dervisci fino a che spuntò la prima luce dell’alba. Il califfo pose allora cento dinar sotto il tappeto, si congedò da, Alà ed-Din e i quattro dervisci se ne andarono per la loro strada.
Le cose andarono avanti allo stesso modo anche nelle notti successive. E ogni notte il califfo deponeva cento dinar sotto il tappeto. intanto il califfo Harùn ar-Rashìd aveva mandato a chiamare un mercante fra i maggiori della città di Baghdad, e gli aveva detto: -” Voglio cinquanta balle di dabi qi e voglio che ogni balla valga mille dinar. Voglio anche uno schiavo abissino. ” Il mercante fece quanto era stato ordinato e il califfo diede allo schiavo un bacile ed una brocca d’oro, cinquanta muli per portare le mercanzie e una lettera che doveva sembrare come se fosse stata scritta da Shams ed-Din, capo dei mercanti del Cairo, al proprio figlio Alà èd-Din. Poi il califfo Harùn ar-Rashìd disse allo schiavo: ” Carica tutta questa roba sui muli e recati nella strada dove si trova il.capo dei mercanti e comincia a domandare in giro : < Dove abita il signor Alà ed-Din? > La gente ti indicherà la strada e la casa. ” Lo schiavo caricò i muli come gli aveva ordinato- il califfo e andò dove gli aveva ordinato il califfo. Per strada incontrò il capo dei mercanti di Baghdad, il padre di Zubaida, il quale gli’ domandò: ” Di chi è tutta questa roba? ” E lo schiavo rispose: ” Tutte queste merci appartengono al signor Alà ed-Din, e gliele manda suo padre, Shams ed-Din, capo dei mercanti del Cairo, il quale ha saputo che suo figlio è stato assalito dai beduini nel deserto e depredato .di ogni suo avere. Su queste mule ci sono carichi di stoffa, per cinquantamila dinar e vesti di gran pregio e un bacile e una brocca d’oro. ” Allora il padre di Zubaida disse: ” La persona che tu cerchi è mio genero, e io ti indicherò dove abita. “
Intanto, Alà ed-Din se ne stava a casa pieno di afflizione perché quello era il decimo ed ultimo giorno della proroga concessagli dal cadì. Quand’.ecco senti bussare alla porta e si disse in cuor suo: ” Allah, sa quello che fa! Certamente questo è un messo del tribunale che viene ad intimarmi il pagamento. ” Alà ed-Din andò ad aprire la porta e vide il suocero insieme con uno schiavo abissino a cavallo di un mulo. Lo schiavo smontò dalla cavalcatura e baciò la mano di Alà ed-Din, il quale gli chiese: ” Che cosa vuoi? ” ” Signore, ” disse lo schiavo, ” io sono il servo del signor Alà ed-Din, figlio di Shams ed-Din, capo dei mercanti del Cairo; mi ha mandato a lui suo padre ordinandomi di consegnargli questa lettera. ” Alà ed-Din prese la lettera, l’aprì e lesse quanto segue:
” Salute e felicità da Shams ed-Din a suo figlio Alà ed-Din. Mi è stato riferito, figlio mio diletto, che la tua carovana è stata assalita dai predoni e che tu hai perduto merci e denari ‘ Ti mando perciò questi cinquanta muli carichi di mercanzie per un valore di cinquantamila dinar. Insieme, ti mando dei vestiti e una brocca e un bacile d’oro in regalo per la tua sposa. Abbiamo infatti saputo che hai sposato una giovane e che ti sei impegnato a pagare una dote di diecimila dinar. Le merci che ti inviamo serviranno più che abbondantemente a questo scopo, se tu, come ci è stato riferito, vuoi conservare presso di te la giovane avendola trovata di tuo gusto. Tutto questo è stato affidato al tuo schiavo Selìm. Non affliggerti per la roba perduta, perché è servita a salvarti la vita. A casa stanno tutti bene e ti salutano e attendono il tuo ritorno. “
Alà ed-Din disse allora al suocero: ” Suocero mio, prenditi queste merci e vendile come vuoi; trattieni per te l’utile e rendimi il capitale.” “No, per Allah, ” rispose il suocero, ” io non voglio nulla, e quanto alla dote mettiti d’accordo con tua moglie. ” Ma ecco che sopraggiunse l’ex marito di Zubaida il quale disse al suocero: ” Zio mio, fa’ che Alà ed-Din ripudi come aveva promesso la moglie! ” ” Ciò non è possibile, ” rispose il suocero, ” se egli non vuole farlo. Ora ha in mano il contratto ed ha i denari per pagare la dote. ” Allora il giovane se ne tornò a casa pieno di afflizione e si ammalò; e poiché la malattia era mortale, mori.
Quanto ad Alà ed-Din, dopo essersi recato, come al solito, al mercato a comprare cibi e bevande, tornò a casa e, dopo avere apparecchiato ogni cosa per la cena, disse a Zubaida: ” Quei dervisci sono stati dei gran bugiardi; ci avevano fatto una promessa e non l’hanno mantenuta. ” ” Se tu, ” rispose Zubaida, ” che sei il figlio del capo dei mercanti, non avevi nemmeno una moneta, cosa vuoi che abbiano dei poveri dervisci? ” ” Fortuna che Allah misericordioso ha provveduto per noi. Se questa sera però vengono li lascerò in istrada. ” ” Perché? ” chiese Zubaida. ” Dobbiamo a loro e ai cento dinar che ci lasciavano sotto il tappeto se abbiamo potuto attendere fino all’arrivo delle mercanzie di tuo padre. “
Quando venne la sera, Alà ed-Din accese i lumi e invitò Zubaida a suonare e cantare. Ed ecco che si senti bussare alla porta. Alà ed-Din scese e vide i quattro dervisci. ” Siete dei bugiardi, ” disse loro,” ma siete lo stesso i benvenuti. Entrate! ” Alà ed-Din li fece sedere accanto a sé, diede loro cibi e bevande. Dopo che si furono saziati, i dervisci dissero: ” Signore, eravamo molto preoccupati per te: come è andata a finire quella storia con tuo suocero? ” Alà ed-Din rispose: ” Allah misericordioso ha provveduto al nostro bisogno e anche di più. ” Più tardi il califfo Harùn ar-Rashìd si allontanò per andare a fare un bisogno e allora il poeta Abu Nuwàs si piegò all’orecchio di Alà ed-Din e gli disse: ” Stai attento a come parli, perché sei in presenza dell’Emiro dei credenti! ” ” Mi sono forse comportato male in presenza dell’Emiro dei credenti? ” chiese Alà-ed-Din. ” E chi di voi è l’Emiro dei credenti? ” ” Quello che è uscito or ora è il califfo Harùn ar-Rashìd, Principe dei credenti; questi è il visir Giàafar, questi è Masrùr il carnefice e io sono Abu Nuwàs, il poeta. E adesso, mio caro ospite, lascia che ti faccia una domanda e rifletti bene per un momento. Quanti giorni di viaggio ci sono fra il Cairo e Baghdad? ” ” Quarantacinque giorni. ” ” Tu sei stato assalito dai predoni solo dieci giorni fa; ebbene, ” soggiunse Abu Nuwàs, ” come avrebbe potuto la notizia giungere fino a tuo padre e come, avrebbe potuto questi allestire una nuova carovana e fartela pervenire nel giro di dieci giorni? ” Alà ed-Din ammise di non averci pensato tanta era stata l’emozione di veder finiti i suoi guai, poi soggiunse: ” Ma allora, da chi mi viene tutta questa roba? ” ” Dal califfo Harùn ar-Rashìd, Emiro dei credenti, per via del grande affetto che ti porta. ” ” E perché questo affetto? ” chiese Alà ed-Din. E Abu Nuwàs rispose: ” Perché sei giovane e bello. Il califfo, che Allah lo protegga, ritiene che la vista di un volto grazioso, di un giovane bello e simpatico, sia una cosa che non ha prezzo. ” Intanto, Harùn ar-Rashìd rientrò nella stanza e si sedette al suo posto sul tappeto. Allora Alà ed-Din gli si gettò dinanzi e baciando la terra davanti a lui gli disse: ” Allah ti conservi, o Emiro dei credenti, e non ci privi mai della tua generosità e della tua clemenza! ” ” Alà ed-Din, ” rispose il califfo, ” di’ a Zubaida che ci faccia sentire della bella musica per festeggiare questa felice giornata. ” E Zubaida suonò una musica che è da annoverare fra le meraviglie del mondo e che avrebbe mandato in estasi perfino i sassi. Così trascorsero lietamente le ore fino al mattino, allorchè il califfo si alzò e disse ad Alà ed-Din: “Ti aspetto domani a palazzo.” ” Ascolto e obbedisco, o Emiro dei credenti, se Allah lo vuole. “
Il giorno dopo Alà ed-Din riempì un cofano con doni preziosi e si recò al cospetto del califfo, ai cui piedi depose il cofano e, baciando la terra, disse: ” 0 Emiro dei credenti, il Profeta, che Allah gli dia pace e benedizioni, non disdegnava di accettare i doni per non dispiacere a coloro che glieli offrivano. Il tuo servo sarebbe felice se tu volessi accettare questo piccolo cofano quale segno della sua riconoscenza. ” Il califfo fu lieto di questa attenzione di Alà ed-Din ed accettò i doni dicendogli: ” La tua presenza, Alà ed-Din, è già un dono per noi! Sii dunque il benvenuto nel mio palazzo e voglio che sin da oggi tu abbia un alto incarico. ” Detto ciò gli fece dare una veste d’onore e lo nominò capo dei mercanti, e volle che sedesse nel suo consiglio. Quindi il califfo ordinò che fosse fatto un decreto con il quale veniva comunicata a tutti la nomina di Alà ed-Din. Poì consegnò il decreto al governatore di Baghdad, il quale lo diede all’araldo, affinchè in tutta la città venisse bandito che: ” L’unico capo dei mercanti è Alà ed-Din e non vi è altro capo all’infuori di Alà ed-Din. L’Emiro dei credenti ordina che egli sia obbedito, riverito, rispettato ed onorato! ” Così Alà ed-Din aprì bottega e vi pose lo schiavo Selìm affinchè vendesse e comprasse, mentre egli si recava ogni giorno al consiglio del califfo. Ora, accadde che una volta, mentre sedeva, come era solito fare, in consiglio, venne annunciato al califfo che un alto dignitario, suo commensale era stato accolto dalla misericordia di Allah. Subito il califfo si fece venire davanti Alà ed-Din, gli fece dare una ricchissima veste e lo nominò suo commensale, fissandogli un appannaggio di mille dinar. E un altro giorno avvenne che, mentre Alà ed-Din si trovava al consiglio del califfo, entrò il gran ciambellano il quale, prosternandosi davanti ad Harùn ar-Rashìd, disse: ” 0 Emiro dei credenti, che Allah raddoppi i tuoi giorni! Devo annunciarti che poco fa è morto il comandante del Palazzo! ” Allora il califfo ordinò immantinente che venisse data una veste d’onore ad Alà ed-Din e lo nominò comandante di Palazzo, e poichè il defunto non aveva lasciato né moglie né figli, ordinò anche che Alà ed-Din gli succedesse nel patrimonio. Ciò fatto, mise in libertà il consiglio, e Alà ed-Din se ne uscì avendo al suo seguito Ahmed ed-Danif, capitano dell’ala destra del califfo, e Hasan Shumàn, capitano dell’ala sinistra, ciascuno con quaranta uomini. Allora Alà ed-Din si volse ad Hasan Shumàn e disse: ” Intercedi per me presso Ahmed ed-Danif affinchè mi accetti per figlio davanti ad Allah. ” E Ahmed accettò e disse ad Alà ed-Din: ” Ti scorterò ogni giorno fino al consiglio. ” Così Alà ed-Din assolse per qualche tempo i suoi doveri presso il califfo.
Ora avvenne che una sera Alà ed-Din, mentre se ne stava in casa con la moglie Zubaida, dovette allontanarsi un momento per fare un bisogno. E, mentre se ne stava nel cesso, udì un grido fortissimo, accorse e vide la moglie stesa per terra. Le pose una mano sul cuore e si accorse che era morta. La mattina dopo vennero fatte le esequie e questa fu la fine di Zubaida.
Alà ed-Din si vesti a lutto e per il grande dolore che provava abbandonò le sedute del consiglio, al punto che un giorno il califfo disse a Giàafar: ” 0 mio visir, per quale ragione Alà ed-Din diserta le sedute del consiglio? ” ” 0 Emiro dei credenti, ” rispose Giàafar, ” è desolato per la morte di Zubaida. ” Allora il califfo disse: ” È nostro dovere consolarlo. Vogliamo recarci subito da lui. ” E così, scortato da servi e da guardie, il califfo si recò a casa di Alà ed-Din, il quale gli andò incontro e, prosternandosi dinanzi a lui, baciò la terra dicendo: ” Allah ti conceda bene per il bene che fai! ” ” Alà ed-Din, ” chiese il califfo, ” perché hai disertato il consiglio? ” ” A causa della morte di mia moglie Zubaida, o Emiro dei credenti. ” ” Sgombra il cuore da ogni pena, perché il dolore non ti servirà a nulla. ” ” 0 Emiro dei credenti, il mio dolore finirà solo quando io sarò morto e sarò sepolto accanto a lei. ” Allora il calino recitò i versi del poeta: ” Ogni nato di donna, anche se fu lunga la sua vita, un giorno sarà posto nella bara. Come può essere lieto e godere la vita colui al quale un giorno sarà gettata la terra sul volto? ” Terminate che ebbe le condoglianze, il califfo disse a Alà ed-Din: ” 0 Alà ed-Din, io ho nel mio palazzo una schiava di nome Qut al-Qulùb, la quale canta e suona meravigliosamente il liuto. Voglio che essa venga a stare da te e che ti rallegri l’animo e ti consoli della tua pena.”
Ciò detto il califfo tornò al Palazzo e ordinò agli eunuchi che Qut al-Qulùb venisse portata a casa di Alà ed-Din con tutte le sue robe e con quaranta ancelle. ” Ascoltiamo e ubbidiamo, ” risposero gli eunuchi. E ciò fu fatto.
Quando Qut al-Qulùb fu giunta a casa di Alà ed-Din, gli eunuchi si presentarono a lui e gli dissero: ” Signore, noi siamo al servizio di Qut al-Qulùb, la quale ti saluta e ti informa che il califfo l’ha donata a te e pertanto altro non desidera che una tua visita. ” E Alà ed-Din rispose: ” Ditele che è la benvenuta in questa casa, ma che per tutto il tempo che rimarrà presso di me io non entrerò nel suo ap- partamento, perché quello che è stato del padrone non può essere del servo. “
Ora avvenne che un giorno Alà ed-Din non si presentò al consiglio, e il califfo disse al visir Giàafar: ” Ho regalato ad Alà ed-Din Qut al-Qulùb perché lo rallegrasse e gli facesse dimenticare la morte della moglie. Ma vedo che oggi non si è presentato al consiglio. Voglio recarmi da lui per scoprire la cagione di questa assenza. ” Ciò detto il califfo si recò a casa di Alà ed-Din e subito vide sul suo volto l’ala della malinconia. ” Come mai questa malinconia? ” gli chiese. ” Non sei forse entrato da Qut al-Qulùb? ” Al che Alà ed-Din rispose:’ ” 0 Emiro dei credenti, quel che va bene per il padrone non va bene per il servo. Io non sono mai entrato da lei e non so quanto sia lunga e quanto sia larga. Ti prego perciò di toglierla dalla mia casa! ” Tornato a Palazzo, il califfo disse al visir Giàafar: ” Recati al mercato delle schiave e comprane una da diecimila dinar per Alb ed-Din. ” Così l’indomani il visir prese Alà ed-Din e insieme con lui si recò al mercato delle schiave. Ma si diede il caso che in quello stesso giorno il governatore della città, l’emiro Khalid, fosse andato anch’egli al mercato con l’intenzione di comprare una schiava per suo figlio. La ragione di ciò era che sua moglie, di nome Khatùn, gli aveva generato un figlio, chiamato Assalonne Bazaza, il quale la notte precedente aveva avuto la sua prima polluzione. La madre era subito andata a trovare il marito e gli aveva detto: ” Nostro figlio, che ha vent’anni, ha finalmente raggiunto la pubertà. Bisogna trovargli moglie. ” ” Come vuoi, o donna, ” le aveva risposto l’emiro Khalid, ” che possiamo trovare una moglie per questo ragazzo, il quale è imbelle, sudicio, disgustoso e ripugnante? ” Decisero così di comprargli al mercato una schiava che lo soddisfacesse. Ecco dunque come mai,per il volere di Allah l’altissimo, in quello stesso giorno si recassero al mercato delle schiave il visir Giàafar con Alà ed-Din e l’emiro Khalid con suo figlio Assalonne Bazaza. Ed ecco che, mentre erano al mercato, passò una schiava alta e snella, bella come la luna del ramadàn, tenuta per mano da un venditore. Assalonne Bazaza la guardò, sospirò e disse al padre: ” Padre mio, comprami quella schiava. ” Allora il governatore domandò alla schiava il suo nome e quella gli rispose: ” Mi chiamo Yasmin. ” ” Ebbene, figlio mio, ” disse il governatore, ” se la schiava ti piace fa’ un’offerta. ” ” Qual è il suo prezzo? ” chiese il giovane al mercante. E saputo che il prezzo base era mille dinar offrì mille dinar e uno. Intanto, anche il visir Giàafar aveva mostrato quella schiava ad Alà ed-Din e gli aveva chiesto se gli conveniva e avutane risposta affermativa cominciò anch’egli a concorrere all’asta. E allorchè Assalonne Bazaza offri mille dinar e uno, Giàafar offrì duemila dinar. Ed ogni volta che Assalonne Bazaza aumentava di un dinar, Giàafar aumentava di mille dinar. Alla fine, quando arrivarono a diecimila dinar, Assalonne Bazaza dovette ritirarsi dall’asta e la schiava Yasmìn venne assegnata ad Alà ed-Din. Allora Alà ed-Din prese la schiava e davanti a tutti la liberò pronunciando la formula in nome di Allah Altissimo. Quindi fece stendere un contratto di nozze e se la portò a casa. Quando Assalonne Bazaza vide che Alà ed-Din aveva comperato la schiava Yasmìn, si diede a gemere e a sospirare, brutto e laido com’era, quindi tornò a casa, dove si gettò su un letto rifiutando il cibo e le bevande e cacciando mille sospiri d’amore. Passarono i giorni e le condizioni di Assalonne Bazaza non migliorarono, anzi, andarono peggiorando e si temette ch’egli stesse perdendo la ragione. Sua madre, meschina, girava per casa avvolta nel manto dell’afflizione. Un giorno che se ne stava nelle sue stanze a lamentarsi sulla sorte del figlio, ecco che si presentò a lei una vecchia, madre di un certo Ahmed Qamaqim.
Questo Ahmed Qamaqìm era noto in tutta Baghdad per essere un ladro fra i più abili che fossero mai esistiti. Era tanta la sua destrezza, che sapeva scassinare porte e forare muri in men che non si dica e sarebbe stato capace di portar via il kuhl dagli occhi di una donna senza che questa se ne accorgesse. Ma un giorno era accaduto, per volontà di Allah Onnipotente, che questo ladro famoso venisse colto sul fatto, arrestato, deferito al tribunale del califfo e condannato a morte. Ahmed Qamaqim si pose allora sotto la protezione del visir, il quale intercedette presso il califfo e lo convinse a commutare la pena di morte in una condanna alla prigione perpetua. Ma la vecchia madre di Ahmed Qamaqìm non sapeva darsi pace. Perciò entrò quel giorno in casa della moglie del governatore sperando di indurla a intercedere presso il marito. Trovandola avvolta nel manto dell’afflizione, le chiese: ” Come mai così afflitta? ” ” Per via di mio figlio, Assalonne Bazaza, che sicuramente morirà un giorno di questi. ” ” Allah lo salvi! Quale malattia lo ha colpito? ” Allora la moglie del governatore le raccontò tutta la storia della schiava Yasmìn e la vecchia, dopo aver riflettuto un po’, disse: ” E se qualcuno inventasse un modo i Polvere nera per tingere le palpebre per salvare tuo figlio? ” ” E chi mai potrebbe fare ciò? ” chiese la moglie del governatore con un barlume di speranza. ” Sappi, o signora, ” disse la vecchia ” che nulla è impossibile a mio figlio Ahmed Qamaqim, il quale, però, si trova ora in carcere condannato alla prigione perpetua. Ora tu fa’ come ti dico: indossa le tue vesti più belle, mettiti tutti i monili, profumati e accogli tuo marito, quando tornerà a casa, con sorrisi e moine, si che egli senta muoversi l’eredità di suo padre. E quando ti richiederà ciò che i mariti di solito chiedono alle mogli, tu rifiuterai, e poiché non v’è nulla di meglio che un rifiuto per acuire il desiderio, quando lui insisterà tu digli: < Se io faccio con te ciò che chiedi, tu mi darai quello che voglio?> Lui ti risponderà: E tu allora digli: < Prima giura che me lo darai. > E dopo che avrà giurato fagli questo discorso: ” La moglie del governatore fece quanto le aveva. detto la vecchia e ottenne dal marito ciò che aveva chiesto. Così, il giorno dopo, il governatore si alzò, fece le abluzioni, recitò la preghiera del mattino, quindi andò alla prigione, dove ordinò che fosse tirato fuori Ahmed Qamaqim. Lo condusse con sé, ancora incatenato, nella sala delle udienze ‘ e si gettò a terra davanti al califfo il quale gli chiese: ” Emiro Khalid, che cosa è questo? ” Poi, avendo riconosciuto Ahmed Qamaqim, gli chiese: ” Cosi sei ancora vivo, Qamaqìm? ” ” 0 Emiro dei credenti, ” rispose Qámaqim, ” lunga è la vita dell’uomo infelice! ” Allora il califfo rivolto al governatore chiese: ” Emiro Khalid, per che ragione l’hai condotto alla mia presenza? ” E il governatore rispose: ” Signore, costui ha una madre vecchia, infelice e priva di qualsiasi appoggio; costei ha supplicato il tuo schiavo di intercedere presso di te, o.Emiro dei credenti, affinché tu le liberi il figlio dalle catene. Costui, o signore, si dichiara pentito dei suoi misfatti. ” Harùn ar-Rashìd si rivolse allora ad Ahmed Qamaqlm e gli chiese: ” Sei davvero pentito? ” E Abmed rispose: ” Sono peintito, o Emiro dei credenti, con la lingua e col cuore! ” Il califfo fece allora venire un fabbro ferraio, gli fece togliere i ceppi, quindi gli disse: ” Poiché non voglio che spinto dal bisogno tu ricada nelle tue antiche scelleratezze, e poiché penso che nessuno in questa città conosca i ladri e i mariuoli meglio di te, così ti nomino capo della polizia.”

- Fiaberella
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