Maria di legno

C’erano una volta,

un marito e una moglie che avevano una figlia.

La moglie di quest’uomo s’ammalò, e, detto, fatto, morì, ma prima di spirare disse al marito: “Tieni la mia fede: quando avrai trovato una donna alla quale calzerà bene, prendila in moglie.”

Morta la moglie, il marito si mise in viaggio; visitò molti paesi, ma in nessuno di questi trovò una donna a cui andasse bene l’anello.

Nel frattempo, la figlia di quest’uomo era cresciuta, e un giorno, mentre chicchieravano, il padre le disse: “Tua madre in punto di morte mi ha fatto una semplice richiesta, ma io non posso accontentarla, perché non riesco a trovare una donna alla quale vada bene la sua vera nuziale.”

E la figlia, felice, rispose: “Come può essere che non riusciate a trovarne neanche una, se qua ci sono io? Io l’ho provata, e a me calza bene.”

E il padre disse: “Davvero ti sta bene?”

“Sì.”

“E allora, figlia mia” disse il padre, “bisogna che ci sposiamo.”

“Ma cosa dite, siete impazzito?”

“Impazzito o no,” rispose il padre, “bisogna che tra quindici giorni io e te ci si sposi, perché l’ho promesso a tua madre.”

La figlia cercò allora di far ragionare il padre, dicendo che non sarebbe stato opportuno, che era una cosa da non potersi proprio fare, perché i padri, da che mondo è mondo, non si sposavano con le figlie; ma quello non volle sentire ragioni, e le ordinò di prepararsi, perché quindici giorni dopo si sarebbero sposati.

La povera ragazza, disperata, si rifugiò da una vicina a chiedere consiglio, perché, da quando era morta sua madre, costei ne faceva le veci, e, quando seppe dell’accaduto, le disse: “Sai cosa devi fare? Dì a tuo padre che accetti di sposarlo, ma ad una condizione, e cioè, che egli ti faccia cucire un abito color del cielo, con ricamati sopra, il sole, la luna e tutte le stelle, ma che siano esattamente identiche a quelle vere che sono in cielo, e che splendano allo stesso modo.”

La fanciulla andò dunque dal padre e gli disse: “Papà, io accetto di sposarvi, però prima voglio che mi troviate un abito fatto così e così…”

Il padre, senza rispondere né sì, né no, si mise in viaggio, alla ricerca di un abito fatto in quel modo.

Quando ebbe camminato per un bel pezzo, incontrò un uomo che gli disse: “Dove andate, buon uomo?”

E quello: “Tacete, che son giorni che cammino per cercare un abito fatto così e così, per mia figlia, ma non riesco a trovarlo da nessuna parte.”

E quello: “Ah, ma se è solo per questo! Venite a casa mia, che ve lo do io.”

Infatti, andarono a casa di quell’uomo, il quale diede al padre della ragazza un splendido abito con le stelle, il sole e la luna. “Ora sapete dove abito; quando vi serve qualche cosa, venite pure a trovarmi, che mi farà piacere.”

Il padre della ragazza ringraziò tanto lo sconosciuto, pagò lautamente il vestito, e se ne tornò a casa tutto ringalluzzito e trionfante con l’abito sotto il braccio.

Immaginatevi che faccia fece la povera Maria quando vide il padre portarle l’abito!

Subito tornò dalla vicina, e piangendo disperata, le raccontò che il padre era riuscito a trovarle il vestito color del cielo, e la vecchia disse: “Zitta, Maria mia, non ti disperare, e ascoltami: torna da tuo padre, e digli che prima del matrimonio dovrà procurarti un abito color del mare e tutto pieno di pesci, ma pesci che guizzano come se fossero veri.”

Il padre, a quella richiesta, senza farselo ripetere, si recò immediatamente da quello dell’altra volta, e quando Maria lo vide tornare con un abito color del mare e tutto pieno di pesci che sembravano veri, andò di nuovo dalla sua madrina a riferirle che il padre c’era riuscito un’altra volta, e che ora non sapeva proprio più come fare.

E addolorata, scoppiò in lacrime.

La vecchia disse: “Non disperarti: adesso digli che vuoi un abito tutto d’oro e pieno di campanelli d’oro che suonano.”

Maria andò a riferire la richiesta al padre; egli allora tornò dal solito ometto, si fece fare l’abito che voleva la figlia e dopo un po’ tornò con quello.

Di nuovo in lacrime, Maria disse alla vecchia madrina che era tutto finito, che non c’erano più speranze, poiché suo padre era riuscito a procurarle anche stavolta l’abito.

Allora la vecchia suggerì: “Digli di farti fare una conocchia parlante.”

Maria fece anche questa richiesta al padre, ma quello dopo un po’ ritornò con la conocchia parlante.

Quando la vecchia seppe che il padre di Maria era riuscito nell’impresa, disse alla ragazza: “Adesso digli di costruirti una statua di legno, della tua stessa statura, ma, invece di assomigliare a te, dovrà avere la faccia da vecchia, e dovrà saper camminare sulle acque. Forse tuo padre ce la farà anche questa volta, ma non disperiamo. Ora và, e fammi sapere quando tornerà.”

Maria chiese al padre una statua di legno così e così, e, anche questa volta, il padre ottenne da quell’uomo l’oggetto richiesto.

Allora Maria tornò a casa della vecchia, e riferì tutto.

E quella le disse: “Senti cosa devi fare: domani mattina prendi la conocchia parlante e mettila dietro alla porta della tua camera da letto, così, quando tuo padre ti verrà a chiamare per andare in chiesa, gli risponderà la conocchia al posto tuo; tu, intanto, infilati dentro l’abito di legno, e portati l’erba fumaria. Intanto, prendi questo rocchetto, la palla, e questo gomitolo, e se tuo padre dovesse inseguirti, quando lo vedi, butta queste tre cose per terra, e vedrai che ti serviranno.”

Maria tornò a casa, cenò allegramente con suo padre, restando d’accordo che si sarebbero sposati il giorno dopo, e poi se ne andarono a dormire.

Maria, quando vide che albeggiava, prese la conocchia parlante, la mise dietro la porta, si infilò dentro all’abito di legno e tagliò la corda.

Quando il padre andò a chiamarla, le disse: “Maria, alzati che è ora. Andiamo a sposarci.”

E la conocchia rispose: “Eccomi, papà.”

E il padre aspettava.

Aspetta, aspetta, il padre disse: “Maria, sei pronta?”

E la conocchia: “Eccomi che arrivo.”

Ma a forza di aspettare, al padre venne la stizza; salì in camera, aprì la porta, e vide che non c’era nessuno, ed esclamò: “Ah, brutta disgraziata, me l’ha fatta! Se l’è squagliata.”

Montò a cavallo, e di corsa cercò di raggiungere la figlia. A forza di correre, gli parve di vedere da lontano una figura che scappava, ma non si capiva bene se era lei o no.

Spronò il cavallo, finché riuscì quasi a riprenderla, e riconobbe Maria, la quale, sentendo lo scalpiccio degli zoccoli, s’accorse di essere braccata.

Allora lanciò a terra il rocchetto, ed ecco che la strada diventò un gran lago.

Maria, che con l’abito di legno riusciva a camminare anche sull’acqua, proseguì la corsa, mentre il padre rimase bloccato come un salame e dovette cambiare strada.

Maria, quando non vide più il padre, uscì dall’acqua e riprese a correre sul sentiero, e, a forza di trottare, dopo un po Maria si volse e vide il padre che la inseguiva ancora.

Allora, buttò in terra il gomitolo, e quello si trasformò in una fratta altissima, che impedì al padre di proseguire, e così dovette di nuovo svoltare.

Intanto, Maria proseguiva la sua fuga senza meta.

Il padre, a forza di girare per strade, vicoli e scorciatoie, alla fine riuscì a riprenderla di nuovo.

Maria, quando vide che aveva ancora il padre alle calcagna, lanciò in terra la palla che le era rimasta, e subito si trovò di fronte il palazzo del re.

Allora disse: “Adesso voglio proprio vedere se mio padre avrà il coraggio di venirmi a tampinare pure lì.” Detto, fatto, entrò nel palazzo.

Il padre, che non l’aveva più avvistata da nessuna parte, continuò a cercarla per diversi giorni, ma quando vide che era tempo perso, si rassegnò, e se ne tornò a casa con la coda in mezzo alle gambe.

Quando Maria fu nel palazzo, le si pararono davanti i cortigiani, e le domandarono: “Chi siete? Da dove venite?” Ed ella rispose:

“Son Maria di Legno
fatta con ingegno,
fatta con tanta arte,
e passo da ‘sta parte.”

E quelli: “Ma che cosa volete?”

E Maria: “Vedete, per favore, se potete farmi lavorare al servizio della regina.”

E i servi: “Ma la regina ha già svariati servitori, che neanche te lo immagini, figuriamoci se ha bisogno di te.”

Ma Maria insistette, e così, per levarsela di torno, i cortigiani andarono a rivolgersi alla regina, la quale disse: “Sapete che si fa? Siccome non ho nessuno che badi alle galline, mandateci questa vecchia e ditele di stare attenta, che poi a lei penserò io.”

E così, Maria di Legno fu assunta per presidiare il pollaio.

Passò diverso tempo, finché un giorno capitò che un gran signore della zona maritò la figlia, e diede una gran festa, che sarebbe durata per tre sere di seguito, e, indovinate un po’: anche il re fu invitato.

La prima sera, quando stava preparandosi ad andare, gli si presentò Maria e gli disse: “Maestà, andate a ballare?”

“Sì.”

E Maria: “Mi ci portate?”

Ma il re la squadrò da capo a piedi, ed esclamò: “Se non te ne vai, ti tiro una scopa in testa.”

Allora, Maria andò giù al pollaio e indossò l’abito color del cielo con il sole e tutte le stelle, montò in carrozza, e andò alla festa.

Gli invitati, nel vedere una fanciulla così splendidamente agghindata, bella come una dea, rimasero affascinati, e cominciarono a farle un mucchio di complimenti e di lusinghe; finché anche il re le si avvicinò, e le domandò chi fosse e da dove venisse.

Ed ella, anziché rispondere come si deve, disse: “Se non te ne vai, ti tiro una scopa in testa.”

E si allontanò.

Allora il re chiamò i suoi servitori, e ordinò loro di correrle dietro, per vedere dove andava.

Quelli la seguirono, ma quand’ella se ne accorse, sputò per terra, e la piazza s’allagò in un baleno.

Allora i servitori tornarono dal re a riferirgli come stavano le cose.

Maria, il giorno seguente, appena fu in piedi, fece: “Co co co!” e radunò a sé il corteo delle galline, e poi si mise a raccontare a quelle bestie di quanto era successo la sera prima, quando il re non l’aveva voluta accompagnare al ballo, perché era brutta.

“Piangete per me” diceva alle galline, e quelle, le svolazzavano intorno, facendo una gran cagnara.

I servitori, che avevano assistito a tutta la scena, andarono a riferire tutto al re, il quale disse poi: “Ma guarda quella vecchiaccia, è da ieri sera che si comporta in modo strano.” E quella volta, finì così.

La sera dopo, mentre il re si apprestava a recarsi al ballo, gli si ripresentò Maria a dirgli: “Maestà, andate a ballare anche stasera?”

E il re rispose: “Sì.”

Ed ella: “Suvvia, portatemi con voi.”

E il re, tutto stizzito: “Se non ti levi dai piedi, ti tiro gli stivali.”

E Maria se ne andò.

Ma appena vide che il re se n’era andato, sapete cosa fece?

Indossò quel bell’abito color del mare con tutti i pesci vivi, e andò anche lei al ballo.

Ed ecco che il re, come la vide entrare, tornò a ronzarle intorno, pregandola e supplicandola che gli dicesse almeno come quale fosse il suo nome, ed ella rispose: “Mi chiamo: Se non ti levi dai piedi, ti tiro gli stivali.”

E il re rispose: “Macché, non è possibile, questo non è un nome. Ditemi almeno da quale paese venite.”

Ed ella: “Se non ti levi dai piedi, ti tiro gli stivali.”

Poi, a festa conclusa, Maria prese e se ne scappò via, e il re le mandò dietro i servitori a pedinarla, ma ella sputò come il giorno prima, e la piazza s’allagò, così i servi non poterono più seguirla.

Figuratevi la disperazione del re quando lo seppe!

E così, decise che la sera dopo, le sarebbe corso dietro lui.

La mattina seguente, appena alzata, Maria radunò a sé le gallinelle, e ricominciò con la scenetta del giorno prima, e i servitori, nel sentire tutta quella cagnara, andarono dal re e gli dissero: “Sacra Corona, qui non si può più stare; siamo tutti assordati dal baccano che fa Maria con le sue galline.”

E il re disse: “‘Sta brutta vecchiaccia vuol proprio farsi cacciar via. E così finirà, se non la smette.”

E anche quel giorno finì così.

La sera, mentre si stava vestendo per andare alla festa, gli si ripresentò Maria, a dire: “Maestà, andate alla festa pure questa sera?”

“Sì.”

E Maria: “Portateci anche me.”

Al re, che era già infastidito dal rumore che faceva Maria con le galline, finì che gli andò la mosca al naso, e disse: “Vattene, che t’ammazzo!”

Allora Maria di Legno se ne tornò giù al pollaio, indossò quel magnifico abito d’oro con tutti i campanelli d’oro che suonavano, e quando vide che il re se ne fu andato, montò in carrozza e andò anche lei alla festa.

Il re, come la vide arrivare, le diede una sbirciatina, e subito tornò a farle la corte.

“Almeno stasera, che è l’ultima sera che ci vediamo, me lo volete dire come vi chiamate?”

Ed ella: “Mi chiamo Vattene che t’ammazzo.”

Il re, tutto intenerito, le disse: “Ma no, non è possibile che vi chiamiate così. Orsù, ditemi il vostro nome.” E così dicendo, si tolse dal dito un bell’anello di brillanti e glielo regalò.

Ma ella continuò a dire: “Son del paese Vattene che t’ammazzo. Mi chiamo Vattene che t’ammazzo.”

E quando la festa finì, il re si mise a pedinare Maria per vedere dove andava; ma ella, quando arrivò in piazza, vedendo il re che la inseguiva, sputò in terra e la piazza s’allagò, e il re non seppe più che fare.

Anche quella volta dovette tenersi la curiosità: ma tanta era la passione che gli era venuta per Maria, che s’ammalò gravemente, finché i medici non seppero più come guarirlo.

Non mangiava più, non dormiva più; insomma, da come si era ridotto, faceva pena persino ai sassi.

Quella povera donna della madre, come si disperò!

Stava tutto il giorno vicino al figlio, gli faceva mille coccole e carezze, con la speranza di accostargli alla bocca almeno un po’ di quel ben di Dio.

Finché un giorno, egli disse alla madre: “Mamma, io oggi mangerò, a patto che mi prepariate la pappa voi stessa, con le vostre mani: voglio una bella zuppa di cappellini fatti in casa.”

E la madre, per accontentarlo, gli disse: “Va bene, ci penso io.” Ma quando fu in cucina, non seppe più dove mettere le mani; allora corse dal cuoco, e trovò Maria che stava tutta presa con le galline.

Maria, quando capì cosa voleva la regina, le disse: “Lasciate fare a me, che ci penso io.”

E difatti, la regina la lasciò fare, ed ella preparò i cappellini esattamente come li aveva ordinati il re, ed erano talmente buoni, che ad ogni boccone, egli esclamava: “Mamma mia, come sono buoni!”

E quand’ebbe li ebbe mangiati tutti, disse alla madre: “Visto che sapete cucinare così bene, domani a pranzo, vorrei che mi faceste una bella pizza.”

E la madre gli rispose: “Visto che sei così contento, ti accontenterò anche domani.”

Difatti, il giorno dopo, la regina scese giù al pollaio e disse a Maria che siccome il figlio aveva così gradito i cappellini, stavolta, per compiacerlo di nuovo, a pranzo doveva sfornargli una bella pizza.

Allora, Maria si mise a fare la pizza, e nell’impasto ci infilò l’anello che le aveva regalato il re alla festa da ballo.

Venne poi la regina a prendere la pizza, la portò in camera del figlio, e quello cominciò a mangiare. Mangia che ti mangia, non faceva altro che esclamare: “Mamma mia, quant’è buona, quant’è buona!”

Quand’ecco che a un certo punto, mentre tagliava la pietanza sul piatto, si cominciò a sentire, ‘ticchete!’, e riconobbe l’anello che aveva regalato alla splendida fanciulla incontrata al ballo: allora cominciò a interrogare la madre, per sapere se era stata lei a preparare la pizza, e se sì, come aveva fatto l’anello a finire nell’impasto.

A quel punto, la regina si vide smascherata, e dovette confessare che la pizza non era opera sua, ma di Maria di Legno, e il re disse: “Maria di Legno? E a quella brutta vecchiaccia chi gliel’ha dato l’anello mio?”

E volle a tutti i costi scendere dal letto, vestirsi, e andare giù al pollaio per farsi dire da Maria come fosse entrata in possesso dell’anello.

Appena arrivò davanti al pollaio, sentì una tale cagnara, che non si capiva niente, e pensò tra sé, ‘ ma che è ‘sto fracasso? ‘ E si mise fuori dalla porta ad ascoltare, e sentì Maria che diceva alle galline:

“Allegre, gallinelle,
che Maria vostra
da brutta si fa bella.”

E cominciò a raccontare: “Io, la prima sera che il figlio del re è andato a ballare, gli ho chiesto di portarmici, e lui m’ha risposto che mi tirava la scopetta; io ci sono andata lo stesso e l’ho fatto eccitare. La seconda sera gli ho chiesto di nuovo se mi accompagnava, e per tutta risposta mi ha detto che mi tirava addosso uno stivale, ma io ci sono andata ugualmente e l’ho fatto disperare. Gliel’ho chiesto una terza volta, e m’ha risposto di togliermi dai piedi, che m’ammazzava: e così, io ci sono andata lo stesso e l’ho fatto ammalare.

Allegre, gallinelle,
che Maria vostra
da brutta si fa bella.”

Figuratevi il re, che aveva sentito tutto, come ci restò!

Di sasso, ci restò,e pensò: ‘ vuoi vedere che quella bella fanciulla al ballo era Maria? Ma com’è possibile? ‘

Così, aprì la porta del pollaio, ed ecco che vi trovò Maria seduta, vestita con l’abito tutto d’oro e pieno di campanelli, tutta accerchiata dal codazzo delle galline che le facevano la festa.

E il re, appena la riconobbe, le andò incontro, la prese per mano, la portò al cospetto di sua madre, e dichiarò che quella era la causa del suo malanno, e che se non gliel’avesse fatta sposare, sarebbe morto di passione.

La regina volle sapere da Maria come aveva fatto a operare quel cambiamento prodigioso, e in quali circostanze la fanciulla era arrivata lì da loro.

Allora, Maria raccontò per filo e per segno tutti i dispiaceri trascorsi dalla morte della madre.

La regina diede allora il suo benestare alle nozze, e i due giovani si sposarono, e vissero a lungo felici e contenti.

- Fiaberella
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