Storia di Ali Babà e dei quaranta ladroni-Parte III

Ma torniamo ai quaranta ladroni, i quali, tornati alla grotta, rimasero di sasso constatando che il cadavere di Qassim era scomparso. Ma il loro sbigottimento non doveva conoscere limiti quando, insospettiti dalla cosa, si diedero a controllare il loro tesoro e dovettero concludere, ahi loro! che qualcuno aveva portato via una quantità notevole di monete d’oro. Allora si sedettero per terra in circolo e il capo così parlò: “Miei prodi! Il nostro segreto, non so come, è stato scoperto, e se noi non escogitiamo qualche espediente per porre rimedio a questa faccenda ci vedremo sparire sotto il naso il tesoro accumulato in tanti anni di fatiche da noi e dai nostri antenati. Ormai non v’è più dubbio che il ladro da noi sorpreso nella grotta aveva un complice, ed è perciò indispensabile che noi scopriamo questo complice e l’uccidiamo, acciocché il nostro segreto torni ad essere tale e i frutti delle nostre fatiche siano d nuovo al riparo dalla cupidigia dei mariuoli. Io propongo perciò che uno di noi si travesta da derviscio straniero, si rechi in città e, girando di strada in strada e di bottega in bottega veda di scoprire il nome di colui che cerchiamo. Ma è necessario che l’indagine sia condotta con astuzia e prudenza, perché il più piccolo sbaglio potrebbe compromettere la riuscita dell’impresa. Perciò io propongo che colui il quale si assumerà l’incarico debba accettare di essere punito con la morte se commetterà qualche leggerezza o qualche errore.” Allora uno dei ladroni si alzò e disse: “Mi offro io di condurre in porto l’impresa e accetto la condizione che avete posto.” Il capo e gli altri suoi compagni si felicitarono con lui, gli augurarono buona fortuna e quello, dopo essersi travestito da derviscio, se ne andò.

Arrivò in città che era molto presto e giunto nel suk vide che tutte le botteghe erano chiuse, fatta eccezione di quella del vecchio ciabattino Mustafà, il quale aveva l’abitudine di mettersi al lavoro al primo canto del gallo. Il derviscio si fermò a osservare il vecchio ciabattino, che lavorava abilmente di lesina e trincetto, e non poté fare a meno di esprimergli la sua meraviglia per il fatto che a quella età aveva ancora dita così agili e forti e occhi così buoni. Mustafà che, come è stato detto, era un brav’uomo semplice e cordiale, al quale piaceva chiacchierare con la gente, si senti tutto lusingato dal complimento e rispose: “Per Allàh, o derviscio, quello che vedi è niente: sono ancora capace d’infilare un ago al primo colpo e sono stato capace di ricucire un cadavere, fatto a pezzi, in fondo a una cantina senza luce.” Quando il derviscio senti queste parole, ci mancò poco che si mettesse a ballare dalla gioia, ma seppe trattenersi e si limitò a benedire la sorte che lo aveva guidato, appena entrato in città, dalla persona giusta. “0 venerando ciabattino!” gli disse. “Che cos’è questa storia di ricucire un morto? Forse che nel tuo paese si ha l’abitudine di tagliare a pezzi i morti e poi di ricucirli?” “Per Allàh,” rispose il ciabattino, “questa non è certo una abitudine del nostro paese! Ma è inutile che tu m’interroghi, perché io so solo quello che voglio dire, e se la mia memoria è lunga la mia lingua è corta.” Allora il derviscio, per non insospettire Mustafà, si mise a ridere di cuore a questa uscita e, avvicinatogli si, gli fece scivolare in mano una moneta d’oro e gli disse: “0 sceicco dei ciabattini, non credere che io voglia impicciarmi dei fatti degli altri, ma siccome sono uno straniero e viaggio per conoscere gli usi e i costumi della gente sono curioso di conoscere le ragioni per cui è stato compiuto questo strano rito. Perciò, se tu vorrai guidarmi nella casa dove il rito è avvenuto, ti darò un’altra moneta d’oro.” Allora Mustafà rispose: “E come potrei indicarti dove si trova quella casa, se vi fui condotto con gli occhi bendati?” Poi, dopo un attimo, aggiunse: “E’ vero che l’uomo non vede solo con gli occhi ma con tutti i suoi sensi e che se dovessi rifare quella strada, bendato, son certo che da alcuni segni che notai tastando con le mani i muri e dagli odori che sentii saprei ritrovare la casa in cui fui condotto.” “Se è così,” gli disse il derviscio porgendogli un’altra moneta d’oro, “ti prego di accettare questa moneta d’oro per il tuo disturbo e di venire con me, bendato, rifacendo il cammino percorso fino a quando non sarai sicuro di essere arrivato alla casa di cui mi hai parlato. Ti prego, o sceicco dei ciabattini, di non dirmi di no e di voler soddisfare la curiosità di uno straniero.” Allora il ciabattino Mustafà, non vedendo nulla di male nella richiesta di quel derviscio straniero, si lasciò bendare gli occhi e un po’ facendosi guidare e un po’ guidando rifece il cammino già percorso con Margiana fino a che, arrivato davanti alla casa di Alì Babà, si fermò dicendo: “Ecco, questo deve essere il posto: sono sicuro di non essere andato oltre perché il mio piede riconosce questa pietra sporgente nella quale inciampai prima di entrare nella casa.”. Il derviscio-ladrone si guardò intorno e vide che all’altezza del punto dove si era fermato il ciabattino vi era una sola porta; quella di Alì Babà. Tolse la benda dagli occhi del ciabattino e gli chiese se sapesse di chi era quella casa; ma il vecchio gli rispose d’ignorarlo perché egli era di un altro quartiere e non conosceva gli abitanti di quella strada. Allora il derviscio ringraziò il ciabattino, gli regalò un’altra moneta d’oro per il disturbo e lo mandò con Dio. Poi rimase lì perplesso, domandandosi come avrebbe fatto a riconoscere e a far riconoscere ai suoi compagni quella porta, dato che le porte che si aprivano su quella strada si somigliavano tutte. Alla fine vide un pezzo di gesso per terra, lo prese, fece un segno sulla porta e s’e ne andò tutto soddisfatto tornando verso la foresta dove lo aspettavano i suoi compagni. Ma non sapeva, il meschino, che Allàh avrebbe tramutato in pianto la sua soddisfazione.

Infatti di lì a poco Margiana uscì di casa per andare a fare la spesa al suk e quando tornò notò sulla porta di casa quello strano segno fatto col gesso. Allora si disse: ‘Chi può aver fatto questo segno sulla porta del mio padrone? Certo non può essere stata una mano amica perché le mani, amiche bussano alle porte e non vi fanno sopra segni col gesso. Aguzza l’ingegno, Margiana, perché qui sotto c’è sicuramente qualche imbroglio che bisogna sventare!’ Ciò detto, si munì di un pezzo di gesso e segnò nello stesso modo tutte le porte della strada,così da confondere le idee ai malintenzionati.

Ma torniamo ai ladroni. Non appena il loro compagno li ebbe raggiunti nella foresta e li ebbe informati di tutto quello che aveva fatto, essi si alzarono e s’incamminarono verso la città, dove entrarono a due a due per non destare sospetti nella gente. Arrivati però nella strada indicata dal loro compagno, rimasero di sasso vedendo che tutte le porte recavano il medesimo segno fatto col gesso. Allora a un cenno del capo tornarono nella foresta e riunitisi a consiglio decisero che colui che aveva sbagliato doveva essere punito con la morte, come era stato convenuto. E senza porre tempo in mezzo presero il colpevole e gli mozzarono il capo. D’altra parte, poiché diventava sempre più urgente sbarazzarsi di un nemico così astuto, un altro ladrone si offrì di andare in città a compiere la missione che il primo aveva fallito. Costui tornò in città, andò difilato dal ciabattino Mustafà, si fece indicare la strada e la casa del cadavere ricucito, e dopo aver licenziato il ciabattino fece sulla porta un segno rosso in un luogo poco visibile. Dopo di che se ne tornò, sicuro del fatto suo, verso la foresta. Il meschino però non sapeva che quando Allàh ha deciso che la testa di un uomo debba cadere non v’è astuzia né accortezza che possa impedire. ciò che è stabilito dall’Onnipotente. Infatti, quando i ladroni tornarono a due a due in città e arrivarono nella strada dove abitava Alì Babà, rimasero ancora più stupefatti della prima volta constatando che tutte le porte di quella strada avevano lo stesso segno rosso nello stesso posto. E questo era avvenuto perché l’astuta Margiana, messa in sospetto da quel primo segno fatto col gesso, aveva tenuto gli occhi aperti e non aveva tardato a scoprire il segno rosso fatto dal secondo ladrone. Cosi aveva ripetuto il segno su tutte le porte della strada confondendo le idee ai nemici del suo padrone.

Quando i ladroni furono ritornati nella foresta, anche il secondo esploratore subì la stessa sorte del primo, perché così era scritto, anche se egli non lo sapeva. E il risultato di tutto questo affare fu che la banda si trovò menomata di due uomini fra i più coraggiosi. A questo punto il capo dei ladroni, dopo aver riflettuto sulla situazione,’si disse: ‘Ormai mi fiderò solo di me stesso!’ Ciò detto si alzò e si recò in città facendosi indicare dal ciabattino Mustafà la casa del cadavere ricucito. Ma egli non fece come gli altri, non perse tempo a segnare la porta della casa di bianco o di rosso, ma rimase lì un bel pezzo ad osservarla per fissarsi nella mente qualche particolare che lo aiutasse a distinguerla dalle altre perché, come già si è detto, le case di quella strada, viste dal di fuori, erano tutte uguali. Quando fu ben sicuro che, tornando, non avrebbe potuto sbagliare, riprese la via della foresta e appena arrivato radunò intorno a se i trentasette ladroni che rimanevano e disse loro: “Miei prodi, finalmente la casa del nostro nemico è scoperta! A noi non rimane altro che infliggergli la punizione che si merita. Ed ora ascoltatemi bene: procuratevi al più presto trentotto giare, molto grandi e capaci e con l’imboccatura larga tanto che possa passarvi un uomo. Trentasette di queste giare le porterete qui vuote. La trentottesima dovrà essere piena di olio di oliva. E mi raccomando, badate bene che siano robuste e senza crepe. E adesso andate e tornate al più presto.”

Quando i ladroni tornarono con le giare attaccate alle selle dei cavalli, il capo disse loro di togliersi gli abiti, conservando solo il turbante, le babbucce e le armi, poi ordinò a ciascun uomo di infilarsi in una giara. Quando vide che tutti erano a posto, chiuse l’imboccatura delle giare con fibre di palma affinché i curiosi non potessero guardarvi dentro e colui che vi era nascosto potesse respirare liberamente. Prese quindi un po’ d’olio e unse l’esterno delle giare, così che nessuno potesse dubitare che quelle giare contenevano una merce diversa dall’olio. Infine, anch’egli depose i suoi abiti, si travestì da mercante d’olio e, spingendo davanti a sè la fila dei cavalli, sì avviò verso la città. Arrivò nella strada dove abitava Ali Babà che già annottava ed ebbe la fortuna di trovare sulla porta di casa lo stesso Alì Babà che prendeva il fresco prima della preghiera della sera. Allora il capo dei ladroni fece fermare i cavalli, si avvicinò ad Alì Babà e dopo averlo salutato gli disse: “Signore, come vedi io sono un mercante d’olio e sono venuto da molto lontano a vendere la mia merce in questa città. Purtroppo il viaggio è stato più lungo del previsto e sono entrato in città così tardi che non mi riesce più di trovare un luogo dove alloggiare. Ora, nel nome di Allàh, ti pregherei di volermi ospitare per questa notte, perché altrimenti non saprei dove andare. E che il Clemente, il Misericordioso possa ricompensare la tua generosità.” Ali Babà, che era un brav’uomo sempre disposto ad aiutare il prossimo subito si alzò in piedi e cosi rispose al capo dei ladri: “0 mercante d’olio, che la mia dimora possa essere per te confortevole e accogliente. Entra. Tu sei il benvenuto!” E detto questo prese per mano l’ospite e fece entrare i cavalli nel cortile; poi chiamò Margiana, alla quale ordinò di preparare la cena anche per l’ospite, e a un suo schiavo, di nome Abdallàh, disse di aiutare il forestiero a scaricate le giare e a dar da mangiare alle bestie.

Quando tutto fu in ordine, Alì Babà prese per mano l’ospite e lo fece entrare in casa, lo fece sedere accanto a sè e poi ordinò che venisse servita la cena. Così mangiarono e bevvero in abbondanza ringraziando il Signore per i suoi benefici. Finita la cena Alì Babà, per non mettere in imbarazzo l’ospite, si alzò e, dopo avergli augurato la buona notte, si congedò dicendogli: “Signore, la mia casa è la tua casa e tutto quello che essa contiene è tuo.” Al che il mercante rispose: “La tua generosità, o mio ospite, è degna del migliore dei musulmani. Tuttavia, ti prego di mostrare verso il mio intestino la stessa ospitalità che mostri a me e di dirmi dove potrei andare ad alleggerirmi il ventre.” Alì Babà gli indicò allora il gabinetto, che si trovava nel cortile proprio dove erano state deposte le giare, quindi gli rinnovò la buona notte e si ritirò. Rimasto solo, il capoù dei ladroni, con la scusa di andare a fare i suoi bisogni, scese nel cortile e, avvicinatosi all’imboccatura della prima giara, disse sottovoce: “0 tu che sei nascosto lì dentro, quando sentirai un sasso colpire la tua giara, esci subito con le armi in pugno e corri da me.” E la stessa cosa ripeté all’imboccatura di tutte e trentasette le giare. Dopo di che, tornò in camera, spense la lucerna e si stese sul letto, contando di svegliarsi quando la notte fosse ormai fonda e tutto in casa fosse tranquillo.

Mentre ciò accadeva, Margiana era intenta a riordinare la cucina, ed ecco che ad un tratto la lampada che aveva con sè si spense per mancanza d’olio. Allora Margiana chiamò lo schiavo Abdallàh e gli disse: “Guarda che guaio mi è capitato: si è spenta la lampada e in casa non c’è più nemmeno una goccia d’olio, né saprei a quest’ora dove procurarmene un po’.” Sentendo questo, Abdallàh si mise a ridere e le disse prendendola in giro: “Sono tutte qui le tue risorse, o Margiana? Perché dici che in casa non c’è una goccia d’olio, quando in cortile sono allineate in bell’ordine trentotto giare colme d’olio?” “Per Allàh!” rispose Margiana, “Hai proprio ragione! Come mai non ci ho pensato prima?” Ciò detto, prese un recipiente e scese in cortile. Si avvicinò a una giara, ne tolse il coperchio e vi ficcò dentro il recipiente, ma sentì che questo non si tuffava nell’olio, bensì urtava contro qualcosa di duro, mentre dall’interno della giara usciva una voce: “Per Allàh, il capo m’aveva detto che avrebbe tirato una pietra, ma questo è un vero e proprio masso! Avanti, usciamo di qui, è arrivato il momento!” E Margiana, con gli occhi sbarrati dal terrore, vide sbucare dall’imboccatura della giara la testa di un uomo. Chiunque altro si sarebbe messo a gridare e a chiamare aiuto, ma non Margiana, la quale, riacquistata subito la presenza di spirito, si avvicinò a quella testa che cercava di uscire dalla giara e le disse: “Non muoverti ancora, o mio prode. Il capo sta dormendo. Il momento non è giunto.” Dopo di che richiuse l’imboccatura della giara e passò in rassegna tutte le altre giare constatando che in ciascuna di esse si nascondeva un uomo, tranne che nell’ultima, la quale era veramente piena di olio. Allora Margiana prese il calderone che le serviva per fare il bucato e lo mise sul fuoco; poi, servendosi del recipiente che aveva portato con sè travasò tutto l’olio della trentottesima giara nel calderone ed aspettò fino a che l’olio non fu bollente. Quando vide che era arrivato al punto giusto di calore, prese un grosso secchio, lo riempì d’olio e, avvicinatasi alla prima giara, tolse il coperchio di fibra di palma e con un colpo solo vi rovesciò dentro l’olio bollente, si che colui il quale vi era nascosto dentro non ebbe nemmeno il tempo di gridare, ma si ritrovò morto senza accorgersene. Una dopo l’altra, Margiana ripeté la stessa operazione con tutte le altre giare, liberando così; il suo padrone da quei trentasette ladroni. Quando ebbe terminato, rimise in ordine ogni cosa, chiuse di nuovo le giare con il coperchio di fibre di palma e si nascose in un angolo per vedere che cosa sarebbe accaduto. Ed ecco che verso la metà della notte il falso mercante d’olio si svegliò, si affacciò alla finestra della stanza che dava sul cortile e, sentendo che in casa tutto era quieto e silenzioso, prese una manciata di sassolini che si era portata appresso e cominciò; a tirarli uno a uno contro le giare che erano allineate dabbasso; e siccome era un ottimo tiratore non sbagliò nemmeno un colpo. Ma se si aspettava di vedere i suoi ladroni balzare fuori dalle giare, dovette rimanere deluso, perché nulla si mosse: né una testa, né una punta di pugnale apparve all’imboccatura di una giara. Allora, imprecando contro quei buoni a niente che dormivano, incuranti del suo segnale, scese dabbasso e fece per precipitarsi verso le giare, ma si fermò di colpo sentendo un orribile puzzo di carne bruciata. Tappandosi il naso, si avvicinò a una giara, la scoperchiò e v’introdusse una mano e senti che le pareti scottavano come quelle di un forno. Allora, accostata la lampada all’imboccatura della giara, guardò dentro e vide che c’era uno dei suoi uomini, morto bruciato. Scoperchiò ad una ad una tutte le trentasette giare e ogni volta lo spettacolo che vide fu lo stesso. Allora il capo dei ladroni capì che il suo trucco era stato scoperto e fu preso da una tale paura che, con un solo salto, scavalcò il muro del cortile e spari nella notte correndo a precipizio.

Quando Margiana fu sicura che il capo dei banditi era fuggito e che in casa tutto era tranquillo, spense la lampada e se ne andò a dormire come se niente fosse. La mattina di buon’ora si alzò e andò a svegliare il suo padrone Alì Babà e, presolo per mano, lo condusse nel cortile. “Che significa questo, o Margiana?” le chiese Alì Babà. “Perché mi hai svegliato così presto? Il bagno non è ancora aperto.” “Non èper il bagno, padrone,” rispose Margiana, “ma per mostrarti qualcosa che t’interesserà.” Ciò detto Margiana si avvicinò a una giara, ne tolse il coperchio di fibre di palma e: “Ti prego,” disse al padrone, “da’ un’occhiata qui dentro.” Alì Babà si avvicinò all’imboccatura della giara, guardò dentro e subito si ritrasse pieno di stupore e di raccapriccio. “Che significa questo, o Margiana? Chi è quest’uomo? E come avviene che si trovi qui dentro?” “Con un po’ di pazienza,” rispose Margiana sorridendo, “ti racconterò come va questa storia. Ma prima guarda anchedentro le altre giare.” E quando Ali Babà, passando distupore in stupore e di raccapriccio in raccapriccio, ebbe constatato che trentasette giare contenevano altrettanti uomini morti, Margiana lo prese per mano e fattolo sedere in un angolo del cortile gli raccontò per filo e per segno tutto quello che era accaduto e di cui fino a quel momento non aveva fatto parola con nessuno. E cominciò proprio dall’inizio, dal giorno, cioè, in cui aveva scoperto sulla porta di casa il segno fatto col gesso. Quando ebbe terminato il racconto, Alì Babà scoppiò a piangere per la commozione, quindi, stringendosi al petto della fanciulla, la baciò e le disse: “Figliola cara sia benedetto il giorno in chi tu sei entrata in questa casa! Hai fatto di più tu per noi che noi tutti per te. Io voglio che d’ora in poi tu sia come mia figlia e figlia della madre dei miei figli e che tu sia preposta al governo della casa e che i miei figli ti amino e ti rispettino come la loro sorella maggiore!” Dopo di che Alì Babà, aiutato da Margiana e dallo schiavo Abdallàh, scavò una gran fossa in giardino e vi seppellì le giare con i trentasette ladroni. E la sepoltura avvenne senza alcun onore, ma furono buttati nella fossa alla rinfusa, come si fa per i cani e per le carogne, che in effetti quegli uomini non erano buoni musulmani, ma bestie feroci. Quindi Alì Babà raccontò a tutti in casa ciò che Margiana aveva fatto per scongiurare i pericoli che pendevano sul loro capo, e tutti si rallegrarono e presero ad amarla e la consideravano come una persona della famiglia.

Ora avvenne che un giorno il figlio maggiore di Alì Babà, che si occupava di mandare avanti la bottega dello zio Qassim, tornato a casa dal suk, disse al padre: “Padre mio, sono alquanto imbarazzato a causa del mercante Hussein, il mio vicino, che da qualche giorno ha aperto bottega nel nostro suk. Egli è così gentile e generoso che mi colma di favori; e non v’è giorno che non mi inviti a dividere il pranzo con lui senza permettere assolutamente che io paghi la mia parte. Ora io non so più come fare per sdebitarmi e vorrei, se tu lo permetti, invitarlo una sera a cena da noi. Infatti l’indomani, dopo la preghiera della sera, il figlio di Alì Babà si recò dal mercante Hussein e gli disse: “Signore, ho parlato con mio padre della tua generosità ed egli ti è molto grato e ti manda a dire che sarebbe felice se tu volessi onorare la nostra casa con la tua presenza.” Il mercante Hussein accettò, ringraziando, e tutti e due s’incamminarono verso la casa del giovane; e appena giunti ecco che subito Alì Babà andò loro incontro e, salutato l’ospite, gli disse: “Nobile sceicco, la mia casa non è degna di ricevere una persona generosa come te! Ma se tu potrai sopportare il fastidio che ti procurerà il varcare questa soglia, io vorrei pregarti di accettare questa sera il pane e il sale della nostra ospitalità!” Al che il mercante Hussein inchinandosi gli rispose: “Io non ho fatto nulla per essere ammesso nella tua degna dimora! E per quel che riguarda la cena, devo dirti purtroppo che ho fatto voto da anni di non toccare cibi conditi con sale. Vedi bene, dunque, che questa difficoltà m’impedisce di accettare il cibo da te.” “Se è solo per questo, “rispose subito Alì Babà,” non c’è alcuna difficoltà. Mi basta dare un ordine in cucina, e verranno preparati per te cibi senza sale, cotti come tu desideri.” Ciò detto, Alì Babà fece accomodare lo straniero, poi corse in cucina e ordinò alla schiava Margiana di far preparare alla cuoca dei cibi senza sale per il loro ospite.

Margiana si meravigliò molto di quella richiesta e cominciò a riflettere sulla causa di una così strana abitudine. E, spinta dalla curiosità, non perse occasione durante tutta la cena di osservare attentamente quell’ospite dai gusti inconsueti. Quando Alì Babà, il figlio e l’ospite ebbero finito di mangiare, Margiana portò via i vassoi con le vivande, ma riapparve di lì a poco, vestita, con grande sorpresa di Alì Babà, da ballerina. Gli occhi, che ella aveva già grandi e luminosi, erano resi ancor più grandi dal kuhl, i capelli annodato in lunghe trecce erano profumati con essenza di gelsomino, una cintura di maglia d’oro le serrava i fianchi mettendo in risalto l’ondeggiare delle anche e l’opulenza delle natiche, e i veli che le avvolgevano la persona, anziché nascondere, mettevano in valore l’avvenenza del suo giovane corpo. Al fianco portava un pugnale d’onore, col manico d’oro tempestato di gemme. Tanto Alì Babà quanto il figlio, abituati com’erano a vederla tutti i giorni con gli abiti da lavoro, rimasero abbacinati da tanta bellezza, e Alì Babà prese a guardarla con l’occhio orgoglioso e soddisfatto di un padre che contempla le bellezze della propria figlia, mentre il figlio l’ammirava anch’egli, ma con occhio ben diverso. Quanto all’ospite, era evidente che solo la buona educazione gli impediva di dimostrare tutto l’entusiasmo che provava per quella bellissima creatura, la quale, dopo aver rivolto un inchino ai tre commensali, accompagnata dallo schiavo Abdallàh che sonava il tamburello, cominciò a danzare, con l’abilità di una ballerina di professione, danze persiane e beduine, danze ebraiche e greche. E danzò così bene, con movenze così raffinate e seducenti, che l’ospite ne rimase incantato, né riusciva a staccarle gli occhi di dosso, tutto pieno di desiderio e di bramosia.

Quando ebbe terminato di ballare, Margiana si fece dare da Abdallàh il tamburello e, tenendolo a mo’ di vassoio, si avvicinò al capo di casa acciocché vi deponesse una moneta. Lo stesso fece con il figlio di Alì Babà. Infine si fermò davanti all’ospite e, porgendo il tamburello con la mano sinistra, mentre quello era indaffarato a frugarsi nelle tasche in cerca della borsa dei denari, Margiana, rapida come un leopardo, sfoderò il pugnale che teneva alla cintola e glielo conficcò nel cuore. Il mercante Hussein strabuzzò gli occhi, gettò un sospiro e cadde riverso al suolo.

Alì Babà e il figlio, che avevano assistito sbigottiti a quella scena, balzarono in piedi e fecero per slanciarsi su Margiana credendo che fosse diventata pazza. Ma la fanciulla, riponendo con calma il pugnale nel fodero, dopo averlo nettato del sangue, disse con voce tranquilla: “Sia lode ad Allàh, o padrone, che ha dato al braccio di una fanciulla la forza necessaria per liberarti del tuo ultimo e capitale nemico!” A queste parole, Alì Babà, che non capiva nulla di quanto stava accadendo, rimase più stupefatto e interdetto che mai. “L’uomo che tu vedi disteso a terra e che si faceva chiamare mercante Hussein, non è altri che il falso mercante di olio e il vero capo dei ladroni. Quando chiese di poter mangiare solo cibi insipidi, io mi sono messa a riflettere su questa strana richiesta. Allàh mi ha illuminato e ho capito tutta la verità: costui si era introdotto in casa tua con l’intento di nuocerti, e per questo non volle mangiare il sale della tua ospitalità!” Ciò detto, tolse al mercante Hussein gli abiti e il turbante e Alì Babà, osservandolo in volto più dappresso, riconobbe senza ombra di dubbi che quello era il capo dei ladroni. Allora Alì Babà, con le lacrime agli occhi, si strinse al seno Margiana dicendole: “Figlia mia, quello che tu hai fatto per me, nemmeno una figlia lo avrebbe fatto per il proprio padre! Ora, se tu vuoi completare la mia felicità, ti prego di acconsentire a diventare la moglie di questo mio figlio maggiore.” E Margiana rispose: “Per la mia testa e per i miei occhi, o padrone, farò quello che tu vuoi!”

Così l’indomani stesso davanti al cadì e ai testimoni furono celebrate le nozze e il figlio di Alì Babà, al colmo della gioia, entrò da Margiana e gustò le dolcezze del suo corpo trovandola quale perla non forata e quale giumenta non cavalcata. E quando furono terminati i festeggiamenti delle nozze, Alì Babà si recò con il figlio e Margiana nel luogo dove era la grotta dei ladroni. E dopo che Margiana, osservando attentamente il terreno, si fu assicurata che nessuno aveva più messo piede da quelle parti, Alì Babà pronunciò la formula magica e tutti e tre entrarono nella grotta, dove raccolsero gran quantità di pietre preziose e oro e monili che Alì Babà diede a Margiana quale dono di nozze. Poi tornarono in città lodando la generosità del Signore, di Colui che distribuisce a ricchi e a poveri. E vissero a lungo felici e contenti, fino a che non giunse Colei che rende vane le ricchezze, che spopola i palazzi e popola le tombe. Sia lode ad Allàh che dona generosamente ai poveri e agli umili.

- Fiaberella
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